Società/ Intervista a Chira Costa - "Alta quota" è un’associazione che promuove una maggiore presenza delle donne nei luoghi che “contano”, a partire da quelli della politica e delle istituzioni
Marzia Ferrari Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005
La ricca trama associativa bolognese, da circa un anno, si è arricchita di una nuova presenza: Alta quota, un’associazione che ha come scopo lo sviluppo di una maggiore presenza delle donne nei luoghi che “contano”, a partire da quelli della politica e delle istituzioni. Chira Costa è la presidente.
Dopo il recente affossamento alla Camera, a scrutinio segreto, dell’emendamento presentato dalla stessa maggioranza di governo (che prevedeva per tutti i partiti l’obbligo di candidare almeno 1 donna ogni 3 uomini) la strada di chi crede in questo strumento sembra più che mai in salita. Malgrado, infatti, l’Italia occupi un posto quasi offensivo per un paese democratico nella graduatoria della rappresentanza femminile in Parlamento (l’ottantunesimo), malgrado in quest’ultimo decennio la percentuale delle donne alla Camera e al Senato sia costantemente scesa, neppure nella preparazione delle nuove regole elettorali si è ritenuto necessario introdurre il correttivo delle cosiddette quote rosa.
Come valuta l’accaduto la sua associazione ?
A nostro giudizio la battaglia per le quote mantiene intatta la propria importanza; anzi, quanto accaduto mostra con tutta evidenza che l’obiettivo che abbiamo scelto e nel quale ci identifichiamo, tanto da portarne il nome, è essenziale. Lavorare per un’Alta quota, per noi significa non solo chiedere “quote” di rappresentanza politica ed istituzionale, ma anche impegnarci perché alle donne, che sono più della metà del corpo elettorale e quindi anche della società italiana, vada progressivamente una rappresentanza, pari ad almeno al 40% dei posti, nelle istituzioni e negli organismi di secondo grado, ed anche delle cariche e nomine negli enti pubblici.
L’esperienza storica, ad esempio quella dei paesi scandinavi, dimostra che la presenza femminile nelle diverse istituzioni è arrivata alle attuali percentuali (sostanzialmente paritarie rispetto agli uomini) proprio attraverso le quote, che ogni partito autonomamente ha scelto di destinare alle donne. In Svezia sin dagli anni 70, sono stati i partiti politici che hanno adottato la regola dell’alternanza nella formazione delle liste. All’interno dei partiti svedesi sono previste, infatti, quote che vanno dal 40% al 50% e permettono di ottenere risultati importanti nelle istituzioni nazionali: le parlamentari sono oltre il 40% e la compagine governativa è composta in maggioranza (circa il 60%) da ministri di sesso femminile. In Finlandia la promozione femminile è avvenuta in modo analogo, anche se il sistema delle quote è previsto legislativamente per i candidati alle elezioni provinciali e per gli incarichi nelle commissioni governative. Da circa una decina d’anni, è poi stato introdotto il sistema delle quote per la rappresentanza femminile negli organi collegiali e di vertice della pubblica amministrazione. Risultato: un livello di rappresentanza femminile pari al 37% nel Parlamento e vicino al 40% nel Governo. Successo altrettanto significativo in Norvegia (35% di donne in Parlamento e 43% al Governo) ottenuto con lo stesso strumento: l’iniziativa dei laburisti che, nell’’81, introdussero il sistema delle quote per l’attribuzione delle cariche di partito e ,qualche anno dopo, estesero il meccanismo alla composizione delle liste per le elezioni politiche ottenendo un riscontro immediato: 42% di donne nel gruppo parlamentare laburista.
Questo strumento dunque è ben collaudato (non solo nei paesi che ho citato, ma anche in molte altre realtà europee, non ultima la Germania) e può dare ottimi frutti anche per le donne e l’intera società del nostro paese.
Quindi ha ragione il presidente del Consiglio che si è assunto l’impegno di candidare donne nel suo partito, senza bisogno di una legge?
Diciamo che sarebbe stato meglio se si fosse speso di più per trovare nella sua maggioranza i voti necessari a far approvare l’emendamento. Ben venga comunque un impegno dei partiti di entrambi gli schieramenti in favore della rappresentanza femminile, purché non sia di facciata.Con la nuova legge elettorale infatti è possibile , attraverso le liste bloccate, se costruite con il criterio dell’alternanza (un uomo – una donna), cambiare il volto del Parlamento già nella prossima legislatura. Certo che se invece le liste vengono stese dalle segreterie dei partiti con criteri diversi (ad esempio con le donne in lista ma nelle ultime posizioni) sarà difficile ottenere cambiamenti significativi. Purtroppo, va poi anche detto che il problema della sottorappresentanza delle donne nel nostro paese non è solo parlamentare. Ecco perché ci pare opportuna una legge (magari con un periodo di vigenza definito) che funga da legislazione di sostegno per far raggiungere alle donne un livello quantitativo di rappresentanza che consenta loro di fare “massa critica” , di innescare cioè un processo nel quale da consistente (e non sparuta) minoranza possano realmente incidere, utilizzando le potenzialità delle strutture nelle quali si trovano ad operare al fine di far prevalere la propria posizione e difendere i propri interessi.
Sembra la descrizione di una lobby….
In un certo senso non è un’impressione sbagliata.
Francamente fatico a trovare disdicevole che le donne facciano lobby, se con questo termine si intendono definire gruppi di pressione che si pongono lo scopo di favorire e difendere gli interessi di genere.
La Corte ha già dichiarato incostituzionali le quote. Come pensate si possa superare questo ostacolo?
E’ vero. La Corte ha dichiarato illegittime le previsioni normative che stabilivano nelle liste elettorali meccanismi di riserva dei candidati in ragione del sesso, perchè ledono il diritto costituzionale di chiunque (di sesso maschile o femminile) a concorrere, in condizioni di parità, a cariche elettive. Dopo la sentenza del 1995, il Parlamento ha però modificato l’articolo 51 della Costituzione, che ora prevede: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Il nuovo articolo ha aperto perciò prospettive diverse per la legislazione sulle pari opportunità e non solo in campo elettorale. Siamo consapevoli che il percorso nel contesto politico e culturale italiano non è semplice, ma non per questo non va intrapreso: le battaglie giuste vanno combattute comunque, scegliendo attentamente alleati e strategie.
Quali sono i vostri alleati e le vostre strategie?
Identifichiamo tra i primi tutte le donne e tutte le loro associazioni: non può che essere questa la premessa del nostro percorso. Per questo stiamo lavorando all’ipotesi di un Patto tra le associazioni femminili che si fondi sull’obiettivo comune di aumentare la rappresentanza delle donne ai vertici di ogni settore della società. Ci rivolgiamo a tutte, nel rispetto assoluto della loro identità ed autonomia, per combattere insieme questa battaglia. Quello che ci pare oggi opportuno e produttivo è infatti aggregare su questo specifico obiettivo tutte le realtà ed esperienze esistenti, che hanno una consistenza qualitativa e quantitativa di notevole spessore. Quanto alle strategie, perché siamo a ridosso delle elezioni politiche e che le legge elettorale, a quanto pare, sarà proporzionale e priva di norme in favore delle candidature delle donne, intendiamo chiedere ufficialmente ai partiti che compongono le due coalizioni e ai loro leader un impegno reale a cambiare i loro Statuti in modo da aumentare stabilmente le candidature femminili e garantire l’elezione di più donne nelle istituzioni ed anche negli organismi interni. Abbiamo anche intenzione di aprire un confronto su un testo di legge che favorisca la rappresentanza delle donne non solo nelle Assemblee elettive ma pure negli organismi di secondo grado e nelle nomine dei vertici degli enti pubblici. In Norvegia è recente una legge che obbliga, nelle nomine nei Consigli di amministrazione di enti pubblici ma anche in quelli di aziende private, a seguire il criterio della parità numerica tra uomini e donne. Cerchiamo pertanto la collaborazione di tutti coloro che credono che l’Italia, perché il suo futuro sia più giusto e anche migliore, ha bisogno di più donne nei luoghi delle decisioni. E, a dispetto di quanto pensa l’onorevole Pippo Franco e di quanto è accaduto nella votazione sull’emendamento delle quote, siamo sicure che tra loro ci sono, li abbiamo anche nella nostra associazione, molti uomini.
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