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Non siamo Medee. La “cultura”: aborti, mammane, infanticidi

Non siamo Medee. La “cultura”: aborti, mammane, infanticidi

".... le donne rischiano di tornare indietro dentro la dialettica della loro libertà ...."

Martedi, 15/10/2024 - Nei talk-show televisivi della mattina si ragiona ancora sul terribile caso della ragazza che ha ucciso due figli alla nascita. Un caso abnorme che toglie la parola. Comunque si usa tirare in ballo l’eroina infanticida del mondo pagano.
Intanto non c’è mai stata nessuna Medea assassina per natura: Euripide impostò una “tragedia esemplare” fin dall’apertura della scena, con la nutrice che, sola, anticipa la preoccupazione per l’inquietudine cupa della sua signora, la principessa che anni prima aveva abbandonato il suo paese orientale, tradito fino a rubarne il simulacro protettore e lasciar uccidere il fratello, per amore di Giasone, il bel cavaliere di ventura occidentale che le deve la salvezza, continua ad amarla “sinceramente” e con lei ha avuto due figli. Non può sposarla perché in Grecia la legge riconosce legittimo solo il matrimonio della coppia di nascita greca ed Euripide sa che nel pubblico molti hanno una compagna portata dall’estero nei tanti viaggi commerciali battuti. La nutrice racconta quanto Medea sia sconvolta. E’ la donna a cui l’uomo ha appena detto che deve mettersi a posto socialmente, a causa delle responsabilità ereditarie, deve avere figli legittimi, quindi domani si sposa: non cambia niente tra loro due, i figli saranno allevati a corte, è solo una formalità di Stato. Medea è “la straniera”, ma da anni si è occidentalizzata, anche se non si è mai curata delle leggi locali. Per una “barbara” bastava la convivenza responsabile. L’offesa alla sua dignità fa rinascere la reazione della vendetta e la memoria delle magie della Colchide: se il traditore si sposa e le chiede di essere gentile con la giovane moglie, si sottomette, ma avvelena la veste che le manda in dono e strazia la giovane sposa e anche il re suo padre corso a strapparle l’abito mortale. La vendetta è andata troppo oltre e la morte di un re non sarà senza conseguenze. Medea è perduta e sa che non potrà salvarsi e nemmeno i suoi figli sopravvivranno: l’ira cede alla realtà. Provvederà lei, la mamma farà meno male. Poi Euripide è un illuminista: non crede più alla sacralità del mito e conclude con una scena di puro teatro. Medea scompare su un carro tirato da draghi come voleva la tradizione e resta il tragico dell’accusa ad una tradizione che privilegia i nativi a danno degli stranieri, in qualche modo presenti negli affetti del pubblico.

COMUNQUE QUALCOSA NON TORNA

Nel 2024 in Italia, paese ritenuto civile, in cui dal 1971 è stata autorizzata la contraccezione e dal 1978 esiste una legge “per la maternità libera e responsabile” che doveva consentire la pratica dell’aborto in strutture pubbliche per porre fine a una clandestinità di decine e decine di migliaia di casi in cui la libertà naufragava nel pericolo di morte, nell’umiliazione, nella divisione tra chi poteva permettersi il medico compiacente o il viaggio all’estero e il tavolo di cucina. Oggi le donne possono praticare la contraccezione, sanno di essere padrone del consenso nei rapporti sessuali, di volere o non volere essere madri e perfino di diventare “madri ignote” al momento del parto lasciando il figlio a una donna più fortunata e le ragazzine delle medie spingono le compagne terrorizzate per la scomparsa delle mestruazioni ad andare a un Centro Donne, mentre le spregiudicate corrono ai ripari con la RU486. Non possiamo assolutamente assistere ad un atto che è solo criminale, anche se evoca la paura e la vergogna che nei lunghi secoli paralizzavano al punto che l’infelice lasciava passare i mesi senza decidersi ad andare dalla mammana.
L’infanticidio evoca la rimozione storica di violenze date perché un’altra violenza subita veniva moltiplicata dalla riprovazione sociale: anche quante tra noi hanno combattuto per la 194 non citavano l’infanticidio tra le violenze della clandestinità per l’orrore che suscita la stessa menzione del nome.
Resta il problema culturale, anche se troppo facile in teoria: i figli debbono essere voluti e riconosciuti. Da una madre e da un padre (che tuttora si sorprende delle conseguenze di cui forse non è ben consapevole). Dall’anagrafe che gli dà il riconoscimento al nuovo cittadino. Dalle leggi che riconoscono ai minori il diritto a una buona vita, affidata ai genitori a cui lo Stato dovrebbe erogare l’assistenza, servizi e benefici a nome della comunità e non dovrebbe incentivare “la natalità” per pagare ai nonni una pensione che non sarà pagata ai nipoti. Se ci sarà lavoro convenientemente pagato, case accessibili, servizi sociali per babysitter e badanti, la demografia sarà un problema condiviso e indurrà a fare figli più che con gli appelli politici. La realtà è meno generosa, ma in linea di principio sarebbe giusto così.

Tuttavia, se, come sembra, c’è una ragazza di vent’anni, universitaria, rea confessa di due infanticidi, ci sarà un processo e alla pubblica opinione non saranno risparmiate strumentalizzazioni in nome di una morale che nessuno contesta, complementare al concetto che le leggi esistono perché ci sono i reati. Ma le donne rischiano di tornare indietro dentro la dialettica della loro libertà: quella ragazza, per giunta universitaria, aveva mai imparato a scuola a conoscere la corporeità umana, l’intimità femminile, la volontà nei rapporti?

 

 

 


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