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'Non è pazienza...è talento...

'Non è pazienza...è talento...

Professione donna - “Ognuno è importante, anche le piccole cose influenzano la bellezza dei luoghi, dai mattoni fatti bene, all’oggetto fatto a mano, al prodotto del territorio”

Ribet Elena Lunedi, 07/03/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2011

Fioretta Bacci ha 57 anni e fa l’artigiana a Siena. Con il suo telaio a pedali compone tessuti, giacche, sciarpe, cappelli. La sua bottega, Variazioni su tela, sopravvive grazie a un’esperienza trentennale. Fioretta non si è mai voluta sposare e si è sempre mantenuta da sola.

 

Cosa significa essere un’artigiana in Italia oggi?

La mia arte è questa: l’arte di arrangiarsi di chi si deve inventare un lavoro. Ho recuperato un’arte cosiddetta ‘povera’, la tessitura a mano sul telaio, un’arte antica in grado di creare pezzi unici per bellezza e originalità. Ma non basta un lavoro fatto a mano per campare. Ci va qualcosa di più. L’istinto, sì, ma anche sapere dove si vuole andare, la pratica, lo studio, la personalità, la manualità.

Le difficoltà del mio lavoro sono, credo, le stesse di tante altre singole persone che hanno la partita IVA, oppure contratti a progetto, insomma apparteniamo alla stessa categoria, quella del precariato. Noi non ci possiamo ammalare, non possiamo rimanere incinte, non possiamo permetterci delle difficoltà momentanee, perché manca la solidarietà da parte delle amministrazioni. Come me, ci sono tante donne che non chiedono niente a nessuno, né a un uomo né allo stato, ma anzi contribuiscono con il loro lavoro alla crescita del Paese e alla salvaguardia di mestieri in via di estinzione. Queste donne potrebbero fare anche di più se fosse data loro la possibilità; per la loro volontà meriterebbero un'attenzione particolare. Noi donne, io, come tante altre amiche, in questo periodo di difficoltà economica dobbiamo attivare tanti Talenti. Dobbiamo essere originali, attente. Dobbiamo essere manager, artiste, ragioniere, senza alcun aiuto esterno. Ognuno è importante, anche le piccole cose influenzano la bellezza dei luoghi, dai mattoni fatti bene, all’oggetto fatto a mano, al prodotto del territorio. Dietro alla mancanza di solidarietà c’è una questione culturale: non si promuove l’artigianato, non si dà la giusta considerazione alle persone che attraverso il loro lavoro e la loro inventiva abbelliscono una città.

 

Quali sono i pregi e i difetti del tuo lavoro, dal punto di vista economico?


Per me l’indipendenza è fuori discussione, e come me la pensano anche molte amiche che fanno un lavoro simile. Le donne che sono “tutelate” da un compagno o da un marito hanno garanzie diverse. Non è che io le invidio, perché sono contenta della mia autodeterminazione, di essermela cavata da sola. Certo, a volte mi dico: forse non hanno scelto male quelle che si sono sposate, che hanno un uomo sui cui appoggiarsi. Forse vivono più tranquille. Io sono cresciuta con un’idea diversa di evoluzione e di autonomia, non mi ha nemmeno sfiorato l’idea di farmi mantenere. È una questione di libertà, anche mentale.

 

Come si potrebbe migliorare la condizione lavorativa delle donne in questo settore specifico?

Penso che occorra un riconoscimento sociale vero, una giustizia sociale, anche in termini di sostegni economici; questo vuol dire tante cose, non solo per le donne ma per tutti, per le persone deboli, per quelle che hanno delle difficoltà, per quelle con dei talenti da mettere a frutto, uomini o donne che siano. Non si tratta di beneficienza, ma di gestione lungimirante. È proprio nei momenti di difficoltà che una società dovrebbe essere in grado di farsi carico delle persone. Noi non siamo una categoria inesistente, lo stesso si può dire per i liberi professionisti, così come per gli artisti. Mi augurerei forme di tutela innovative, attente, ma per questo occorre partire da una rivalutazione delle persone, della loro professionalità, di queste capacità che rischiano di scomparire; da questo riconoscimento dovrebbe nascere un cambiamento virtuoso. Ma tutti dovrebbero sentirsi coinvolti: dalle istituzioni alla società nel suo complesso. L’unicità di certe esperienze professionali dovrebbe essere tutelata come patrimonio comune.



(7 marzo 2011)

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