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Non è incostituzionale il divieto di accesso alla PMA per le donne single

Non è incostituzionale il divieto di accesso alla PMA per le donne single

Infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione che preclude l'accesso alla PMA alle single

Giovedi, 12/06/2025 - La Consulta, con la sentenza n. 69/2025, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale relative all'art. 5 della L. n. 40/2004 che prevede l'accesso alla procreazione medicalmente assistita solo alle coppie maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertili, escludendola per le donne single.
Con ordinanza 193 del 2024, il Tribunale di Firenze, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE, questioni di legittimità costituzionale del su richiamato art. 5. Per il giudice rimettente, la norma violerebbe, anzitutto, gli artt. 2 e 13 Cost., poiché andrebbe a ledere la libertà di autodeterminazione sotto il profilo del “diritto incoercibile della persona di scegliere di costituire una famiglia anche con figli non genetici”. Si porrebbe, altresì, in contrasto con l'art. 3 Cost., determinando una ingiustificata disparità di trattamento fra coppie e donne single, le cui risorse economiche non consentano loro di accedere alla procreazione medicalmente assistita in paesi stranieri e donne che non siano in grado di sostenere tali costi. Sarebbero ravvisabili, inoltre, sia la violazione dell'art. 32 Cost., atteso che il divieto di fare ricorso alle tecniche di procreazione assistita esporrebbe la donna singola al rischio di infertilità, sia la lesione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia agli artt. 8 e 14 CEDU, sia agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE, atteso che i citati parametri sovranazionali riconoscerebbero il diritto di ogni persona all'autodeterminazione in ordine alla propria sfera privata e familiare, nonché la pretesa a non essere discriminati rispetto a quel diritto. La Corte Costituzionale, nel disattendere le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze, muove dalla ricostruzione della ratio ispiratrice della disciplina della procreazione medicalmente assistita, evidenziando che la legge n. 40 del 2004 è stata plasmata intorno alla finalità di “porre rimedio ai «problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» (art. 1, comma 1)”. Tale finalità si riflette sui requisiti soggettivi previsti dal censurato art. 5 della legge n. 40 del 2004 per l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, riservata a: coppie di sesso diverso, maggiorenni, nonché coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, rispetto alle quali sia stato effettuato l'accertamento di sterilità o infertilità patologiche, ai sensi dell'art. 4, comma 1. Rileva la Corte che, “a fronte di tecniche idonee a condurre alla fecondazione dell'embrione prescindendo dal fatto naturale della procreazione, il legislatore ha cercato di non creare una distanza eccessiva rispetto al modello della generazione naturale della vita. In pari tempo, ha inteso proteggere a priori l'interesse dei futuri nati, nella consapevolezza della diversità fra le tecniche di PMA e la dimensione intima, puramente privata, della procreazione naturale, che tollera solo discipline a posteriori a tutela del bambino oramai nato”.
La Corte richiama la sentenza n. 221/2019 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 5, nella parte in cui “non consente l'accesso alla PMA a coppie dello stesso sesso e, nello specifico, a coppie di donne”. In quel caso la Corte ha escluso di poter intervenire “estendendo la funzione delle tecniche di PMA da mero rimedio per le sterilità e infertilità patologiche a via di accesso alla procreazione per i casi di infertilità "fisiologica"”.
La decisione in esame sottolinea che il paradigma familiare cui ha riguardo la L. 40 del 2004 non configura una “scelta costituzionalmente obbligata”. In tal senso, riprende la recente sentenza n. 68 del 2025, la quale “in presenza di un bambino nato in Italia a seguito di una procedura di PMA effettuata all'estero da due donne nel rispetto della disciplina straniera (in virtù della quale, se il bambino fosse nato all'estero, il vincolo genitoriale sarebbe stato riconosciuto in Italia anche nei confronti della madre intenzionale) ha ritenuto, nell'interesse del minore, che la madre intenzionale possa riconoscere il figlio”.
Fatte queste premesse, con riguardo al primo profilo di censura – attinente alla violazione della libertà di autodeterminazione (rinvenibile nell’art. 2 Cost. e nell’art. 8 CEDU) – la sentenza rileva che “la scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, implica l’esclusione della figura del padre è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati. Pertanto, rispetto all’esigenza di tutelare questi ultimi, la conseguente compressione dell’autodeterminazione procreativa della donna singola non può, nell’attuale complessivo quadro normativo, ritenersi manifestamente irragionevole e sproporzionata”.
La Corte “non ritiene che il solo interesse orientato alla genitorialità della donna possa evidenziare la manifesta irragionevolezza e sproporzione di una scelta legislativa che, nel solco del principio di precauzione, si fa carico soprattutto dell’interesse dei futuri nati”.
La Consulta considera, di conseguenza, non fondata la censura riguardante l’art. 32 Cost. in quanto “l’infertilità per ragioni di età non può reputarsi di natura patologica e, pertanto, non può attrarre la tutela propria del diritto alla salute”. Allo stesso modo, “non vale richiamare il coinvolgimento della salute psichica, che certamente è ascrivibile alla tutela di cui all’art. 32 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 161 del 2023 e n. 162 del 2014), ma che non può essere dilatata sino ad abbracciare il senso di delusione per la mancata realizzazione di un altro tipo di interesse, qual è l’autodeterminazione orientata alla genitorialità”.
Riguardo le questioni poste con riferimento alla lesione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., la sentenza rileva che “alla luce della ratio dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004 e dell’intera disciplina che regola le tecniche di PMA, la categoria delle donne singole e quella delle coppie eterosessuali non risultano omogenee e, pertanto, non richiedono il medesimo trattamento”.
In tal senso, la legge n. 40 del 2004 “indirizza le tecniche di PMA verso l’obiettivo di offrire un rimedio alla sterilità o infertilità che abbiano una causa patologica, non rimovibile tramite «altri» metodi terapeutici”, e dunque “l’infertilità fisiologica della donna singola non è omologabile a detta situazione, sicché la disomogeneità dei due gruppi di ipotesi non determina una irragionevole disparità di trattamento”.
Avv. Francesca De Carlo

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