Domenica, 29/07/2018 - “L’esperienza più importante che ha contribuito, io penso, a fare di me quel regista che sono - buono o cattivo non spetta a me dirlo - è l’ambiente in cui sono cresciuto, vale a dire l’ambiente borghese”.
(Michelangelo Antonioni)
Certo il 'loro sguardo' ha 'ben' modificato la storia del cinema: si parla, per non dimenticare di ricordarli, nell'11° anniversario della loro scomparsa, di due grandissimi registi - Autori a tutto tondo, per meglio dire - Antonioni e Bergman.
Il 30 luglio del 2007 'scelsero' di andarsene insieme, i due europei, certo non a braccetto: in ispecie lo svedese, non amava troppo il nostro italo - ferrarese, 'colpevole' per lui di esser troppo pedante, giusto un film o due.
Ed invece son stati accomunati da molte cose e forse non solo dal 'fare cinema' che 'era per entrambi vivere' - per parafrasare il titolo di un testo letterario antonioniano.
Quest'anno Antonioni viene ricordato a Milano per un evento non nuovo, certo, ma semisconosciuto ai più che chiuderà i battenti il 15 settembre prossimo - un evento molto particuliér ed imperdibile che si svolge tra due personalità straordinarie.
Nel contesto della Cripta di San Sepolcro, a Milano, è infatti, in visione, dopo anni dalla 'fattura', Lo sguardo di Michelangelo, il cortometraggio realizzato da Michelangelo Antonioni nel 2004, con l'affettuosa collaborazione della moglie Enrica Fico, un po' un suo testamento spirituale. L’iniziativa, in uno dei luoghi più suggestivi e visitati della città è curata da Giuseppe Frangi, prodotta da MilanoCard e Casa Testori, e promossa dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana.
"La possibilità di assistere al cortometraggio di Michelangelo Antonioni sul Mosè di Michelangelo Buonarroti, offerta ai visitatori della Chiesa inferiore del Santo Sepolcro, diviene una rilevante occasione per riflettere in actu exercito ovvero nella concretezza dell’azione compiuta, sulla centralità dello sguardo" - spiega Mons. Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana.
Lo sguardo è quello, per eccellenza, quello a cui egli stesso attribuiva la genesi del suo Cinema che, attraversando la penombra della chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma, rimane improvvisamente immobile, come sopraffatto di fronte al Mosè, opera capitale di Michelangelo Buonarroti. La scultura, databile tra il 1513 e il 1515 e originariamente concepita per il complesso della Tomba di Papa Giulio II, rappresenta l’espressione più alta della spiritualità del marmo, capace di trasmettere all’osservatore tutta la bellezza che l’artista gli ha infuso, immutata a tutt'oggi.
I loro son due sguardi che idealmente s'incrociano, due grandi vite simboliche che meditano, l’una ‘guardando’ l’altra, sulla metafora dell’esistenza che scorre ma che rende comunque alcuni, come Michelangelo Antonioni per la ‘sua’ unica Settima Arte o l'altro Michelangelo, il Buonarroti, con la Sua Propria, due ‘eternità’ autentiche, imprescindibili, forse solo un tantino incomprensibili al common reader and observer / il visivo fruitore che intuirà, almeno, in tanta grandezza, il destino dell’umanità, il proprio.
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