Non di sole armi uccide la mafia. Incontro con Sabina Guzzanti
Sabina Guzzanti sta portando il suo film, La Trattativa, in tour all’estero e nelle scuole superiori italiane. Primo esperimento con alcune centinaia di studenti di due licei di Mirabella Eclano (AV), dove l’abbiamo incontrata
Il 1992 fu un anno denso di avvenimenti sconvolgenti: il 17 febbraio iniziava Mani pulite, l’inchiesta che, attraverso denunce e arresti dei responsabili degli scandali politico-imprenditoriali, avrebbe sconvolto l’intero assetto politico della Prima Repubblica, fino al progressivo annientamento dei principali partiti. Pochi giorni prima, il 31 gennaio, erano state confermate dalla Corte d’Assise d’Appello, le condanne ai principali boss di Cosa Nostra: 19 ergastoli e oltre 2.600 anni di carcere, impartite grazie al maxi processo alla mafia siciliana impiantato dai giudici Falcone e Borsellino. Evento storico e destabilizzante, che determinò l’inizio della guerra e della strategia stragista contro lo Stato: il 12 marzo 1992 venne freddato su mandato di Titò Riina, il potente parlamentare della Dc, Salvo Lima. Il 23 maggio seguì la strage di Capaci, che distrusse la vita di Giovanni Falcone, della moglie e della loro scorta e il 19 luglio, quella di Via D’Amelio, in cui, insieme ad alcuni agenti della scorta, rimase ucciso l’altro magistrato scomodo, Paolo Borsellino. Seguiranno attentati con bombe a Roma, Firenze, Milano, fino alla fallita strage allo Stadio Olimpico. Le indagini che seguirono, rivelarono come la mafia fortemente colpita, avesse ideato una strategia stragista, fortemente voluta soprattutto da Totò Riina, allo scopo di costringere lo Stato a trattare, per instaurare nuovi contatti con le istituzioni e tentare di raggiungere un nuovo equilibrio politico.
Un gruppo di lavoratori dello spettacolo, guidati da Sabina Guzzanti, che ha coprodotto il film, ricompone attraverso immagini di repertorio, giornali, interviste, atti della magistratura, deposizioni dei pentiti, ricostruzioni, i passaggi fondamentali di vent’anni di storia piena di omissis, fino al processo che vede coinvolti sul banco degli imputati, politici e mafiosi: Riina, Provenzano, Ciancimino padre e figlio, Caselli, i capi del Ros Mori e Subranni, Napolitano, Mancino, Scalfaro, Dell'Utri, Mangano e Berlusconi, nonché i pentiti Gaspare Spatuzza e Gaspare Mutolo. Si saprà mai la verità completa? I magistrati ci stanno tuttora lavorando, a rischio della vita, ragione di più per essergliene grati e ricordarci di non abbandonarli. Questo film, se non la dispiega tutta, ci va perlomeno vicinissimo.
Un film scomodo che racconta verità documentate... Le questioni di cui si parla nella Trattativa sono urgenti ed è importante che gli Italiani le conoscano. La verità è già sotto i nostri occhi, al di là di ciò che i tribunali stabiliranno. Questo film è scomodo, perché racconta un’Italia in emergenza democratica, in cui chi tenta di andare avanti per i suoi meriti, per capacità, è destinato a fare una vita molto difficile. Al contrario, vediamo tutti i giorni che chiunque, anche se perfetto idiota e senza competenze, è disposto a compromessi, possiamo ritrovarcelo persino ministro, per dirne una. Presentato fuori concorso a Venezia il 3 settembre, il mio film è stato il più applaudito del festival, visto da 5.000 spettatori; nelle sale è uscito il 2 ottobre, ci è rimasto 10 giorni e poi è sparito. Ora si sta distribuendo dal basso, ovvero sono gli stessi cittadini che si organizzano per distribuirlo e le richieste aumentano ogni giorno (ndr. si può contattare su Facebook o su: www.sabinaguzzanti.it). Il film è osteggiato perché in fondo, rivela una semplice verità, ovvero che siamo governati dalla mafia, per cui nessuno è contento di saperlo con chiarezza. Ho cercato di fare un lavoro obiettivo: sono stata attenta a non inserire elementi polemici o far fare brutte figure a qualcuno, come a Napolitano ad esempio, visto che ha distrutto le intercettazioni. È un film chiaro e onesto che racconta i fatti, artisticamente riconosciuto, che mi aspettavo desse almeno vita a un dibattito, invece è stato volutamente ignorato, a dimostrazione della malafede, di chi occupa posti di potere significativi nel nostro Paese.
È stato faticoso prepararlo?
Faticoso è un termine inappropriato, direi piuttosto un lavoro appassionante, complesso, durato 4 anni. A una prima fase di ricerca è seguito scrivere e studiare ancora, riunendo i pezzi del puzzle. Il film mette insieme in maniera ordinata le notizie, che in genere vengono raccontate volutamente in modo incomprensibile, per far capire come stanno le cose, dipanare la matassa. È stata una ricostruzione in forma di docu-fiction, sul filo della memoria, dei fatti, dei documenti e dell’ironia.
Saviano dopo la deludente sentenza del processo in cui era coinvolto contro la camorra, tornerà a New York: lei farebbe lo stesso?
Non giudico le altrui scelte, ognuno fa quelle che preferisce, tempo fa mi hanno persino offerto di lavorare negli USA, ma l’America non sta molto meglio di noi per quanto riguarda la democrazia, anzi! Io ho subito molte ingiustizie, ma non penso per questo di lasciare l’Italia: bisogna lottare qui.
Come cambiare questo Paese bloccato?
Ognuno deve combattere, fare la sua parte, da solo e insieme agli altri, come dovrebbe essere in una società normale. È assurdo fare come i contadini messicani che, nascosti sotto il sombrero sopportano elaborando teorie su ciò che non va: si dà la colpa alla massoneria, alla mafia, alla politica, ai raccomandati, ognuno attribuisce agli altri le responsabilità di quello che accade, questa è viltà. È fondamentale assumersi delle responsabilità e io per la mia parte, l’ho fatto e ci ho rimesso molto. Avrei potuto vivere del successo che mi davano i programmi della Rai, allorquando i giornali parlavano di me a ogni battuta e mi definivano geniale. Ho preferito altre scelte, ho preso una posizione politica e da quel momento ho subìto attacchi e insulti corali, e sono stata giudicata reietta. Ma per me i reietti sono loro. Combattere vuol dire essere disposti a perdere qualcosa: si perde molto di più non combattendo. Quando questo si capirà, si avrà una qualità di vita più dignitosa, per ora abbiamo solo persone che hanno un po’ di soldi ma una vita non dignitosa: non vorrei trovarmi al loro posto.
Teme talvolta per la sua incolumità?
Ho paura che la mia vita sarà ancora più difficile di quello è stata negli ultimi dieci anni, ma guai a farsi condizionare dalla paura per operare delle scelte. Nel contempo non vorrei nemmeno essere al posto dei colleghi che hanno una vita più facile e sono ricchi sfondati, magari grazie a commediole che potrei fare anch’io. Cos’è, se non mafia, la derisione di chiunque provi a ribellarsi e alzare la testa? La mafia è nella mentalità, nel modo di vivere, e non ammazza solo con le armi: quanta gente muore perché i suoi meriti non vengono riconosciuti, perché non può lavorare? Cos’è questa, se non mafia?
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