Mercoledi, 01/10/2014 - “La verità è che io non sono nata per rispettare le regole”
Non basta un abito per cambiare la propria storia
Ancora una volta il mondo femminile, tanto amato da Adriana Assini e presente nei suoi libri, ci viene incontro all’inizio del romanzo intitolato Un sorso di arsenico, Scrittura &Scritture, 2009, in cui la protagonista è Giulia Tofana, meretrice - (non prostituta, la prostituta è più comune, più venale. Taide meretrice, Messalina prostituta, ogni abbracciamento venale è meretricio, prostituzione non è) -. dalla bellezza prorompente, venere plebea scolpita in marmo pario puledra selvaggia e scalpitante, indomita guerriera. Giulia creatura imprendibile, dalla volontà mutevole, Giulia un po’ Rossella O’ Hara di Via col vento per quanto riguarda la forza del carattere…
Oltre alla consueta ambientazione storica (in questo caso, Palermo, al tempo degli Spagnoli, Napoli, Roma, nel 1624, epoca dell’Inquisizione), c’è la difficile condizione delle donne che non contano e sono costrette a barcamenarsi nella difficile arte del vivere alla quale rispondono con la testardaggine, la caparbietà (imparerò a scrivere, afferma Giulia con forza), la ribellione, l’abilità, l’indomita fierezza, una punta di mistero, facendo conto solo sulla loro audacia. Come ai giorni nostri, le donne devono dimostrare quanto valgono…
Per riscattarsi da un’infanzia povera e misera (anche la sorella di Giulia, Girolama, è di umili origini) non resta loro che la furbizia (quando capirai che per trarre profitto dalle circostanze, occorre volgere la vela a seconda del vento? - p. 9), l’opportunismo e praticare il mestiere più antico del mondo, pur nutrendo la speranza di fare il gran salto, diventare una rispettabile dama e combinare un buon matrimonio (p. 14). Questo desiderio di liberarsi da tutto ciò che è muffa, zanzare, catapecchie, pavimenti umidi, tetti sfondati, strade ricoperte di letame, accompagnato dal desiderio di uscirne, è espresso dalla contrapposizione tra ciò che è malsano (vita reale) e ciò che è profumato (vita sognata). Si allude spesso all’essenza di rose, al profumo di zagara, alla fragranza di lavanda. Senza parlare del fatto che in Egitto le dee ecclissavano tutte le donne col loro profumo…
Vorrei soffermarmi sul significato del simbolo del profumo. E’ l’espressione delle virtù (e le donne del libro ne hanno da vendere!), la manifestazione di una certa perfezione spirituale e svolge un ruolo di purificazione perché è spesso l’esalazione di sostanze incorruttibili, quali la resina. Il profumo è anche simbolo di luce: ogni profumo è una combinazione di aria e di luce, dice Honoré de Balzac. I profumi e gli odori hanno potere sulla psiche, facilitano l’apparizione di immagini e di scene significative e queste immagini, a loro volta, suscitano e orientano emozioni e desideri.
Le donne del romanzo sono donne che combattono la tracotanza dei potenti ma arrossiscono, restando stordite e senza fiato se innamorate, non sapendo più padroneggiare i propri forti sentimenti. Insomma, donne forti e vulnerabili nello stesso tempo.
Giulia in più è un po’ maga, un po’ indovina, un po’ fattucchiera e ricorda altre figure femminili protagoniste dei romanzi della Assini (per esempio, Greta du Glay, regina de La riva verde). Giulia ha inventato una letale mistura - l’acqua tofana -, un diabolico intruglio che consente di liberarsi di nemici e parenti nel giro di poche settimane, insomma, una pozione, un veleno che regola la bilancia della vita, eliminando le ingiustizie. Giulia è la speranza di tante sventurate che nessun giudice difende, che nessun santo protegge (p. 24). Forse, oggi, dato l’alto numero di donne uccise, la mancata protezione da parte della giustizia e la carenza di punizioni per gli assassini, sarebbe opportuno inventare una pozione simile a quella di Giulia!!!! Com’ è fatta questo miscuglio portentoso? Come quello delle vecchiette del film Arsenico e vecchi merletti: Dunque, caro, per due fiaschi di vino di sambuco ci vuole un cucchiaino di arsenico. Ci si aggiunge mezzo cucchiaino di stricnina e poi appena un pizzico di cianuro, solo che qui si tratta di due once di arsenico e un mezzo tarì d’antimonio con una foglietta d’acqua chiara (p. 17)!
Intorno alla protagonista gira un gruppo di donne: da Girolama Spinola, schietta per natura, ruffiana per necessità, indissolubile da Giulia (lei è l’ago e io il filo, p. 65) a Olimpia, la figlia del barcaiolo Silvestro; da Cornelia, vent’anni, biondina, moglie d’un macellaio di Ponte Sisto amante dell’anticlericale in esilio alla duchessa di Ceri, ecc.
E gli uomini? Manfredi Ballo, il Normanno, il barone, rampollo d’un prestigioso casato di notai, è il classico principe azzurro che ogni donna sogna d’incontrare, il bene perfetto; Fra Nicodemo, alto, bruno, bello, istruito, sano, dai modi eleganti, dai grandi occhi verderame che entra in monastero per poter sfuggire all’ignoranza e fa battere anche lui il cuore di Giulia; Aniceto, zio di Nicodemo e di Olimpia; don Vito, lo speziale; Leonardo, un frate buon tempone; Remo, il barbiere romano; Orlando Bentiveglia, un anticlericale dalla battuta pronta e dalla penna appuntita, ecc.
Nei romanzi di Adriana Assini il cibo ritma la vita, ne sottolinea i momenti salienti. Può, il più delle volte, indicare le differenze sociali: i signori pasteggiano col petto di piccione al brodetto e dolcetti alle mandorle (p. 35), i poveri, invece, offrono zibibbo, taralli e mostaccioli; a corte si serve l’arrosto e mangiare di quel cibo indica frequentare, far parte di quel ceto. Oppure accompagna la quotidianità, la convivialità e l’intimità nella costante presenza di un coppo di stagno di vino dolce forte o una foglietta di bianco che non mancano mai. Oppure indica un festeggiamento come quando le signore che hanno fatto una vendita si deliziano con la presenza di un pezzo di lardo aggiunto alla solita fetta di caciocavallo messa a cuocere a bagnomaria (p. 26) o come quando a Natale, a Roma, Giulia prepara anguilla all’aceto e pesciolini fritti (p. 110) e a Pasqua Olimpia lattarini fritti e coratella coi carciofi (p. 117). Oppure è un omaggio prelibato: dal tavolo spuntavano le zampe di un piviere dorato e una poiana (p. 39), cacciagione squisita per il regalo di un membro del Senato per un banchetto da signori (ancora una volta il cibo sottolinea l’appartenenza sociale). Oppure, infine, può indicare il desiderio della conoscenza, come nel caso della cucina partenopea (zuppa di trippa) scoperta da Giulia, Girolama e fra Nicodemo, pellegrini a Napoli o della cucina romana (ciambelle dolci fritte a dozzina dentro a una enorme padella posta sotto a un fico). Gustare il cibo, significa assaporare la vita.
Vorrei soffermarmi sulla copertina del libro, splendido acquerello realizzato dalla stessa autrice, che rappresenta l’essenza della protagonista del libro. Sono raffigurate delle coppe, un mortaio, strumenti della fattucchiera per preparare la sua misteriosa mistura. Ma ci sono anche un uccellino al centro dell’immagine e uno specchio (specchio specchio delle mie brame…) con l’immagine di una donna riflessa. Infatti, nel libro c’è una bellissima pagina in cui Giulia sfida la sua immagine in penombra davanti ad una specchiera e, in un soliloquio rivelatore, parla con la sua figura riflessa (p. 136). Lo specchio - fonte di certezze -, in quanto superficie riflettente è il supporto di un simbolismo ricco nell’ordine della conoscenza: Come il Sole, come la Luna, come l’acqua, come l’oro, si legge su uno specchio cinese del museo di Hanoi, sii chiaro e brillante e rifletti ciò che c’è nel tuo cuore. Questo ruolo è utilizzato nella poesia di Stéphane Mallarmé: O specchio/fredda acqua dalla noia nel tuo riquadro gelata,/quante volte per ore, distrutta dai sogni, /i miei ricordi cercando, simili a foglie/sotto il cristallo dalla profonda voragine,/in m’apparvi come un’ombra, lontana, ma orrore!/ricordo sere che nella tua vasca severa/ho conosciuto la nudità del mio sogno/a brandelli! Che cosa riflette lo specchio? La verità, la sincerità, il contenuto del cuore e della coscienza, l’anima (si dice, infatti, specchio dell’anima) di cui è simbolo anche il piccolo uccello.
Vorrei concludere con le parole della famosa cortigiana veneta Veronica Franco (1546-1591, poetessa (ma anche Giulia si destreggia con la penna d’oca, apprende il latino e diventa sempre più raffinata): Se siamo armate e addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro; e anche se siamo delicate e tenere, ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere fino alla morte; e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello.
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