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Non basta essere donna…

Non basta essere donna…

Nodi e snodi/3 - D’accordo, le donne devono governare, ma tutte? Quali sono le donne cui vogliamo parlare?

Del Vecchio Silvia Lunedi, 26/09/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2011

“Le donne hanno da governare l’Italia, e devono cominciare a farlo adesso” (Izzo). La proposta fatta a Siena dal movimento Se Non Ora Quando di costruire una rete orizzontale, inclusiva e trasversale a donne diverse, ha l’obiettivo di raccogliere questa sfida, tramutando le istanze femminili in azioni concrete, in una relazione dialettica con i partiti e in un rinnovamento del paese. Una rete capace di intercettare i bisogni e i desideri delle donne attraverso una partecipazione di singole, affrancata dalle rigidità delle appartenenze e, come ha detto Giulia Buongiorno, dei “colori politici”. Una proposta, molti gli interrogativi.

D’accordo, le donne devono governare, ma tutte? Quali sono le donne cui vogliamo parlare? In un intervento è stata affermata la necessità di rivolgersi alle lavoratrici, alle precarie, non solo alle intellettuali, alle donne della medio-alta borghesia com’è successo in passato. Quali sono i presupposti della trasversalità? I colori politici e il senso di appartenenza hanno significato diversi. Appartenenza non vuol dire resistenza al cambiamento e assenza di futuro, ha a che fare con la partecipazione libera e individuale a un progetto condiviso con altre. Il concetto di colore politico è fisso, non evolve, se attiene soprattutto a un’idea personalistica della politica. Il linguaggio è importante, e le donne lo sanno da sempre. Ne conoscono il volto ingannevole dell’omologazione, della rimozione, della semplificazione. Quali sono i temi sui quali valorizzare il nostro contributo? Le donne hanno voglia di confrontarsi e di riconoscersi su questioni che non riguardano solo il mondo femminile? Noi “donne gentili” della rete romana ci occupiamo anche dei temi dell’ambiente perché crediamo che parlare di raccolta differenziata voglia dire discutere di economia, politiche sociali, politiche del lavoro e diritti. Ma non siamo le uniche a pensarla così. Per rinnovare bisogna spostare il punto di vista, le donne devono esserci con la loro parola, la loro idea di cambiamento e la loro autodeterminazione. Siamo certe che a Siena vi fosse una condivisione sulla legittimità della 194, o sulla battaglia contro la violenza alle donne, ma potremmo dire lo stesso sul quoziente familiare? O sulla riforma del lavoro? Siamo d’accordo sul congedo di maternità e paternità, la genitorialità è una questione pubblica, ma basta questo per parlare di parità di genere e di un welfare universale? Dietro il concetto di parità c’è una conflittualità, più o meno silente, scaturita dalle disuguaglianze sociali e culturali anche dentro il mondo femminile, e non possiamo tacerne gli effetti, le differenze, perché sarebbe una distrazione che graverebbe su noi stesse: non tutte le donne sono uguali. Non tutte le donne desiderano la maternità ma hanno ugualmente bisogno di alcuni servizi sociali, di una pensione, di un lavoro soddisfacente. Rinnovare il welfare implica un confronto sull’attuale modello economico e sociale, e la possibilità di mutarne gli aspetti strutturali. La società si è trasformata, nuovi soggetti si sono affacciati sul mondo del lavoro (giovani, donne, stranieri/e), la domanda di diritti ha mutato colore, sesso, età, provenienza, ma la risposta politica è stata inadeguata.

Queste domande sono rimaste aperte, come quella di una lavoratrice di Locri che ha chiesto a Susanna Camusso perché non abbia chiesto il voto dei lavoratori sull’ultimo accordo. Gli interrogativi non sono negativi, anzi denotano curiosità e riflessione, ma non è più tempo di rimandi.

Le donne hanno da dire molto a riguardo, facciamolo senza attendere ancora, facciamolo con le nostre diversità.



Silvia Del Vecchio fa parte del Gruppo romano della rete nazionale “Donne per la rivoluzione gentile”



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