Giovedi, 06/09/2012 - Mercoledì 5 settembre, nell’ultimo appuntamento del XI Festival Internazionale della Poesia ideato e condotto da Giorgio Weiss, che presenta con entusiasmo la serata, si propone uno spettacolo-omaggio a Fabrizio De André. Dopo molti anni di appassionata ricerca sul cantautore si è venuta a creare una sorta di piccola comunità, un gruppo ben organizzato di musicisti amatori: tutti svolgono le professioni più variegate, dal medico del paese, al venditore attuale di zucchero filato, come Guido Salvatori, la voce da basso profondo, un nobile di nascita e d’animo, che sembra conoscere molto bene il mestiere di cantore. Lo studio sull’autore di “Spoon River” è veramente originale e artistico, un vero impulso anche per gli accaniti amatori di De André, che hanno finalmente l’opportunità di soffermarsi anche sui significati profondi delle composizioni del cantautore e di Lee Masters. Un coro di amici (A. Emprin, chitarra classica, A.Conte, clarinetto, I.Casu, clarinetto, flauto dolce, J.Baroni, violoncello, F. Fasolino, canto e coro, F.Messina, L.Corsetti, F.Geri, D.Grossi, M.Matta, A.Rossato, G.Conte, coro), come solo nell’arte accade così facilmente fino a farsi catturare da una passione comune: il canto, la musica e l’approfondimento dell’amato cantautore. Soddisfatto tra il pubblico si riconosce il noto chitarrista Saverio Porcello, loro insegnante di musica e di chitarra. La passione iniziale parte da Giancarlo Ridi, voce, chitarra ritmica, basso elettrico, per poi contagiare tutti gli altri, fino a creare un vero coro e band musicale con chitarra classica, piano, clarinetto, flauto dolce, violoncello, pianoforte e canto con l’agronoma Alessandra Puccini. La voce narrante è del medico molisano Tiberio Pangia, accompagnato dalla sua collega e consorte, Paola Scappini con la lettura delle poesie tratte dall’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters, un libro uscito in Italia grazie a una ricerca di Fernanda Pivano sulla differenza tra la letteratura inglese e quella americana, tesi incoraggiata da Cesare Pavese, suo relatore. E’ proprio Pavese a farle conoscere il libro di Edgard Lee Masters, non ancora tradotto. La Pivano giovanissima, racconta che alcuni versi di una poesia letti a caso le mozzarono il fiato: “mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì”. Erano versi di una semplicità scarna, di contenuto dimesso, rivolto ai piccoli fatti quotidiani privi di eroismi, come nell’epoca fascista invece si usava. Il mondo che ispirava quel contenuto era la denuncia della falsa morale, l’ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista. Era una rivolta al conformismo e i personaggi di Spoon River, in vita, non erano riusciti a farsi capire e non avevano capito. “Dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli in mente”, racconta Fernanda Pivano nell’introduzione all’antologia di Spoon River. La pubblicazione fu possibile solo con uno stratagemma, l’aggiunta di un S. River, come si trattasse di un testo religioso, ma la censura non tardò ad arrivare! Fortunatamente la casa editrice Einaudi modificò la copertina e il libro divenne presto un bestseller. Masters, uno studioso, tra l’altro, di Goethe, viene costretto dal padre alla professione di avvocato. Siamo ancora nell’800, la sua passione però è quella di scrivere poesie e tutti i personaggi narrati da Masters sono vissuti davvero accanto al fiume Spoon, che bagna le due piccole località ben conosciute dall’autore, e quei personaggi dormono ormai sulle colline. A Chicago, nel 1915, l’Antologia di Spoon River segna la rinascita della poesia americana, e i suoi personaggi morti, che raccontano la loro vita precedente, sembra l’estrema conseguenza della disintegrazione della realtà fisica del tempo. Nelle arti figurative nascono l’espressionismo, il cubismo, il dadaismo, come interferenza nel realismo dell’analisi psicologica e lo sgretolamento della realtà fisica nel tempo. Il merito di Lee Masters è di aver iniziato la descrizione realistica, spietata, della cittadina di provincia, e ogni morto porta con sé una situazione, un ricordo, un paesaggio, una parola, indicibilmente sua. La necropoli di Spoon River è come un dramma sacro: “una vita tormentata di istanti repressi, da volgarità mascherate, da vigliaccherie camuffate”. Ciascun morto porta con sé una situazione, un ricordo, una parola, che non è sua. Solo le anime semplici riescono a trionfare nella vita: questo sembra essere il messaggio estremo del libro. Ormai anche Edgard Lee Masters, già deceduto, potrebbe essere una voce di Spoon River.
Cosa c’entra Edgar Lee Masters con Capoliveri e con De André? Edgar inizia da bambino a scrivere per un giornalino di classe e l’amore per la letteratura è subito evidente. Dalla lettura degli epigrammi ed epitaffi greci s’ispira alla sua collina, al suo paesello, fino alla pubblicazione dell’antologia Spoon River: dei morti che raccontano loro stessi, ma i personaggi sono ancora vivi e si riconoscono… Egli scrive il macrocosmo attraverso il microcosmo. Nel ’70 De André decide di fare un LP su Spoon River e sceglie otto dei personaggi della collina di Masters. La collina: il traguardo della nostra vita ed è da lì che tutti i personaggi ci raccontano tutte le frustrazioni della loro vita passata. Fabrizio De André mette in evidenza anche la situazione americana e l’effetto della guerra sulle motivazioni. De André s’intrufola sulle motivazioni che hanno spinto i giovani alla guerra: un ideale e poi? Inizia la serata con “La Collina”. La collina è la presentazione dell’opera di entrambi, De André e Lee Masters, ma De André ha bisogno di una metrica che si adatti con la musica e approfondisce l’aspetto psicologico. Forse siamo tutti un po’ matti, ma abbiamo degli amici che ci ascoltano…
Ne “Il Matto” egli ipotizza qualcuno che non viene ascoltato e infine viene rinchiuso in manicomio. L’incomunicabilità e il personaggio universale che rappresenta, il dolore di una madre che ha perso un figlio giovane anche se matto caratterizzano la differenza con i personaggi descritti in Spoon River, dove tutti hanno un nome, ma per De André ha più importanza il travaglio interiore di ogni personaggio senza una precisa identificazione come invece si trova in Spoon River.
Dopo “Il Matto” c’è “Il giudice”, il personaggio che prova rancore, invidia, che non si pente del suo comportamento poco parziale, ma si compiace perché una società carogna l’ha incarognito ed ora tocca a lui vendicarsi leggendo il terrore per la sua sentenza di chi lo ha beffeggiato per la sua statura.
Segue “Il Blasfemo”, che in Lee Masters ha preso troppo alla lettera i passi del Vangelo, e vorrebbe convincere tutti che Dio ha imbrogliato il primo uomo tenendolo all’oscuro del bene e del male, ma una volta che l’uomo ha preso conoscenza del bene e del male Dio lo caccia perché può diventare come lui…Lo arrestarono con false accuse e finisce in manicomio come pazzo, dove due guardie bigotte -per De André, un custode cattolico secondo Lee Masters- lo uccidono. La mela, invece per De André, è ancora nascosta da chi detiene il potere, che ama lasciarci nell’ignoranza per meglio controllare i nostri comportamenti.
“Un malato di cuore”, il primo personaggio positivo, che avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per essere invidioso o provare rancore, invece porta lo stupore, l’amore, ma anche la morte, perché il primo bacio però è anche il suo ultimo ricordo.
“Un medico” per Lee Masters è il truffatore e creatore dell’elisir di lunga vita, ma per De André è anche un grande ideale che sbatte il muso contro la realtà e se lo rompe. Nella società americana dove tutto è a pagamento è costretto a imbrogliare, a tradire la legge, ma ciò che è ancora più grave, a tradire un suo ideale.
“Un chimico” –farmacista per Lee Masters-, ma non ha importanza, perché l’amore non trova posto nella vita di questo personaggio perché è imprevedibile, è emozione, non è materialismo, ma a volte anche una reazione chimica può essere imprevedibile.
“Un ottico” è un venditore di sogni, così come i suoi clienti, con un rifiuto della società in cui vivono, alla ricerca di un mondo migliore, che si traduce in una fuga dalla realtà attraverso una visione onirica.
La serata si conclude con l’esecuzione del brano “Il suonatore Jones”. Nascosto da versi affascinanti e da una musica dolce si cela tutto il negativo che ci può essere in un uomo: fannullone, ubriacone, vagabondo, suonatore di violino -che per De André diventa di flauto per questioni di metrica-, ma non lo fa per soldi, perché il suo ideale è quello di suonare libero da ogni vincolo.
Una serata all’insegna dell’arte, che caratterizza anche la bellezza di tutta l’Isola, che accoglie Festival di portata internazionale. Ci si augura soltanto che la sincronia del gruppo musicale elbano entri anche in quella della programmazione degli spettacoli, affinché non si sovrappongano ancora spettacoli tutti da non perdere!
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