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Non accarezzate le pre-carie: donne sull’orlo di una carie sui nervi

Non accarezzate le pre-carie: donne sull’orlo di una carie sui nervi

Precarie e pre-carie: l'arroganza delle carezze.

Martedi, 20/12/2016 -
Io e le mie più care amiche, con noi buona parte della popolazione femminile di questo pianeta, sempre quando concesso, abbiamo studiato all’Università perché ai tempi della scuola superiore, sui banchi del liceo, le nostre mamme e i nostri papà si sono sgolati a ripetere quanto importante sia la formazione e la cultura, quanto duro sia il mondo senza l’arma della conoscenza e quanto avremmo rimpianto di non spingere sul pedale dell’ambizione.

Li ringrazieremo sempre ad eternum per questo, perché, nonostante tutto, è placidamente vero.



Al quinto anno del liceo scientifico è stata una Babele: ognuna di noi cercava di coniugare il proprio futuro ed immaginare una declinazione della propria vita in base a parametri che andavano dall’economico, all’etico fino anche al disimpegnato.

Ognuna di noi ha tirato le rette cartesiane della propria vita immaginaria e c’ha infilato dentro una serie di elementi, alcuni di questi hanno resistito alle intemperie dei quindici anni che sono passati, altre si sono rivelate bufale appena usciti i quadri degli esami di maturità.

Comunque ognuna di noi ha messo in atto la propria strategia, chi più ponderatamente chi meno, ognuna di noi s’è fatta in quattro, otto o anche sedici per arrivare alla laurea e poi…il futuro s’è palesato.



Non dico che non sia così per tutte le sante generazioni che si sono susseguite, è fisiologico e va metabolizzato come tale: i piani sono quella cosa che fai mentre si concretizzano quelli veri. Dico solo che il plus della famigerata crisi e la guerriglia di valori che s’è rivelata nel tempo c’ha spiazzato e rappresenta un valore aggiunto al collasso del fantomatico senso di futuro che c’eravamo rappresentate.



Dico anche che non tutti afferrano il gap che questo ha creato nelle nostre esistenze. Ma questo è un altro discorso, io qui parlo della spropositata arroganza di una carezza.



Va bene: il mondo del lavoro è duro. Va bene: la donna guadagna meno dell’uomo. Va bene: le lauree non valgono più. Va bene, va bene tutto.

Ma le carezze no.



L’androne della sala congressi è piena; giacche, cravatte, tacchi, profumi e punti luce che riempiono gli occhi: l’occasione è formale*.



E mentre sei nel ventre del tuo lavoro, pronta a coniugare il tuo futuro al presente perché l’iscrizione all’ordine conta quasi la doppia cifra, tra una stretta di mano e l’altra arriva quello di turno che dopo aver salutato con la dovuta professionalità anche l’impiegato di prima dell’azienda che si riunisce nella stanza accanto, ovviamente mai visto, a te molla una carezza in faccia.



Nella micro frazione di secondo in cui si consuma il gesto rimasto anonimo al mondo, realizzi che parafrasando Rebecca West tu stessa non sai plasmare un pensiero efficace per restituire la sensazione che ti hanno strisciato addosso ed è per questo che la gente ci chiama femministe ogni volta che esprimiamo un sentimento che ci differenzia dallo zerbino.



* Formale: che riguarda l'aspetto esteriore, limitato alle forme esteriori di convenienza (opposto a reale e sostanziale): un atto di cortesia puramente f.; smettila di essere così f.!; educazione f., intesa più a definire i comportamenti esteriori che a sviluppare i valori autentici della personalità.

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