Saggezza di genere - La legge consentirà di trasmettere ai figli anche il cognome della madre
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Quest'anno l'otto marzo sembra averlo inaugurato in gennaio Veronica Berlusconi, con la lettera a Repubblica dopo i "complimenti" rivolti dal marito a signore presenti alla "festa dei Telegatti"(!), che, secondo l'interpretazione della più vieta mentalità maschile, erano "giocosi". Una questione, invece, di dignità femminile offesa di cui chiedere, se l'uomo è pubblico, pubbliche scuse.
Non è senza malizia che abbiamo letto il ritratto di Berlusconi, quando la moglie si raffigura come "la metà di niente". Lui è il "niente" che è stato riconosciuto sulla scena istituzionale per apprezzamenti grossolani alla Presidente finlandese, battute grasse nelle cene di lavoro, offese
alla propria moglie fatta passare per amante di Cacciari, "povera donna"(dice una mia amica, speriamo che sia vero). Le scuse del "mariuolo", forse, non saranno state abbastanza risarcitorie: lasciamo al gossip le fasi ulteriori della vicenda; che, tuttavia, trova una sua collocazione nella biblioteca del femminismo, anche se critiche e malumori hanno fatto capire che non manca chi chiede riserbo, non per i Berlusconi, ma per il proprio privato.
Come donne che stanno avanzando la richiesta che legge elettorale, candidature e nomine prevedano il 50/50 della parità democratica (che, a stretto rigore, sarebbe 52/48), tra le perplessità di chi preferisce la gradualità delle quote rosa e i silenzi maschili neppure mascherati da vaghe promesse, possiamo ben riscontrare l'evidenza del danno che in Italia possano governare uomini che sono nullità e non donne con "saggezza di genere".
Per molti maschi - che non hanno il coraggio di dirlo - l'abitudine a certi modi espressivi, che difficilmente gradirebbero se rivolti dalle "loro donne" ad altri amici, è peccato veniale e, soprattutto, non è politico. Chi, infatti, al bar dell'angolo o a Montecitorio non si è sentita dire "se non fossi già sposato la sposerei subito", "con te andrei ovunque"? La risposta è, di solito, il sorrisino di sopportazione o di compiacimento e la cosa finisce lì. Non è bene. Dispiace che molte donne non percepiscano come offensive dichiarazioni di questo genere e ne sopportino anche di peggiori senza reagire con fermezza. E' proprio per lasciar passare le piccole stupidaggini che si preferisce parlare del mobbing neutro, mentre sono quasi scomparse le denunce delle molestie sessuali, a meno che non arrivino alla soglia dello stupro.
Dobbiamo pensare a come affermiamo la nostra dignità, non solo nei confronti delle istituzioni e dei partiti che ci definiscono sempre "una risorsa" e non la utilizzano. E' in gioco la famiglia. Se ne fa un gran parlare, quasi sempre a sproposito, a partire dagli "aiuti alla", che consistono sempre in sconti sulle tasse, come se non fossero i servizi che l'aiutano di più. Ma anche l'ideologia, che la Chiesa - che è sempre il faro pure per le istituzioni laiche - configura la famiglia come sommatoria
delle virtù morali, in cui la donna fa la parte dell'angelo che, non si sa perché solo lei, "per natura deve" amore e sopportazione. Ovvero, lo si sa benissimo: se la donna dipende dal danaro del marito e non ha autonomia personale, deve chiudere un occhio, o tutti e due, e tacere. Tuttavia, la donna che "per la serietà e la convinzione con cui si è accostata a un progetto familiare stabile" e che ha ridimensionato i "desideri personali" per rispetto del marito, ricorda alle altre che, prima della famiglia e dei sacrifici che questa comporta, viene "la dignità della donna". La difesa di sé non è una questione egoistica, ma un dovere: verso le figlie, che imparano dall'esempio di una madre "capace di tutelare la propria dignità nei rapporti con gli uomini" e verso i figli maschi, che dovranno "porre tra i loro valori fondamentali il rispetto delle donne". Se una ha detto bene parole che servono a tutte, che importanza ha il suo cognome o suoi personali interessi?
Ma anche sul nome c'è da problematizzare, tenendo conto, in particolare, che ormai la legge consentirà di trasmettere ai figli anche il cognome della madre. Le nostre madri e nonne "entravano" nella famiglia del loro nome e ne ricevevano il nome e la nazionalità, se erano straniere. Ne erano
contente, come della fede che portavano all'anulare e che visibilizzava il loro status di coniugate. Ma la loro genealogia diventava una memoria orale, da raccontare e senza storia. La simbologia femminile degli affetti significava un dono e un amore; al maschile si trattava di appropriazione e
dominio, l'unico per i più poveri. In Francia la consuetudine portava la donna a ricevere perfino il nome di battesimo del marito: madame Jacques Chirac. Anche nel passato chi aveva un impiego pubblico conservava il cognome della famiglia di origine, ma quasi sempre usava entrambi i cognomi, magari con in mezzo la preposizione "in", come se dovesse dimostrare di non essere
zitella né illegittima convivente. E non si metteva mai in discussione l'usanza.
Oggi non è più così, fortunatamente; ma è bene rendersi conto del reale significato, simbolico e politico, che hanno i nomi. E' ben chiaro che Veronica Lario è, nella buona e nella cattiva sorte, altra persona rispetto a Silvio Berlusconi e che, per le donne, essere mogli, madri, sorelle, amanti di un uomo sottrae libertà e valore. Dignità. Il fatto che il nome sulla porta sia congiunto, in un ordine di priorità o in un altro e che i figli non siano socialmente figli soltanto del padre riveste un'importanza da non trascurare: non solo ha rilevanza per i figli nati fuori dal matrimonio, ma si tratta, anche per la semplice scrittura degli atti di "stato-civile", di una scelta, alla cui decisione contribuiscono entrambi gli sposi, che decidono come quando danno il nome ai bambini.
Solo che appare ancora una novità e sembra sollevare inspiegabili imbarazzi. Ma, ancora una volta, sono in gioco parità, libertà e dignità.
(29 marzo 2007)
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