Domenica, 14/12/2014 - Uomini umani, Uomini disumani. Nel 1944 Vittorini scriveva uno dei suoi pochi e bellissimi romanzi, Uomini e no, pubblicato dieci anni dopo la sua scrittura. Un romanzo in cui la Resistenza partigiana a Milano diventavano il contesto in cui Vittorini raccontava la duplicità della vita del protagonista, un uomo, usando il corsivo per affrontare riflessioni e dubbi, e il resto del racconto per le drammatiche vicende di guerra civile. In Vittorini “Uomini” significava innanzi tutto gli esseri umani, l’umanità o la disumanità della guerra, del nazifascismo, della violenza. In questi giorni, nel 2014 a settanta anni di distanza, in Italia, dopo mesi di approdo e successo al Festival di Cannes, il film “Storie Pazzesche” prodotto da Almodovar ma scritto e diretto dal giovane argentino Damiàn Szifròn, ci propone sei episodi in cui Uomini protagonisti mostrano tutta la loro potenziale “disumanità” e violenza repressa in un vortice travolgente di azioni, reazioni, sarcasmo, ironia, brutalità, affetti, furbizie, compromessi, mediazioni, colpi di scena.
Un Uomo da adulto si vendica dei suoi stessi genitori, insegnanti, educatori, colleghi, amanti, eliminandoli ed eliminandosi in un sol colpo; un altro Uomo colpevole di malefatte familiari e sociali viene ucciso brutalmente da due donne ( anche se una ha grandi rimorsi ); due altri Uomini qualsiasi per strada per farsi dispetti guidando non controllano più la loro carica violenta e finiscono cadaveri quasi abbracciati; un altro Uomo ancora si vendica della cattiva gestione di servizi pubblici, perde il lavoro, finisce in prigione ma paradossalmente recupera il rapporto con la moglie che lo aveva abbandonato e diventa un eroe in carcere; un altro, ricco professionista, per difendere suo figlio dal carcere sicuro per un brutto incidente stradale, paga il giardiniere e corrompe il magistrato ed altri funzionari, con la complicità del suo avvocato; un ultimo Uomo protagonista chiude la sequenza “pazzesca” ( ma non tanto ) con uno scatto di “umanità” ritrovata ( o di conveniente mediazione ? ) dopo aver toccato con mano le reazioni della neo moglie ad una sua relazione parallela scoperta proprio durante la festa di matrimonio. Un finale quasi ottimista o comunque non drammaticamente disastroso come quelli delle altre cinque storie, che almeno da un po’ di respiro a spettatori/trici travolti/e appunto da tanta “disumanità” per altro abbastanza realistica ed efficace nella sua descrizione cinematografica contemporanea. Un Uomo, quest’ultimo, che finalmente si rende conto che non è proprio il caso di provocare una catena di vendette incrociate fra se stesso e la moglie come avevano fatto i due protagonisti dell’episodio di strada finiti in cenere. Un Uomo che alla fine di una cerimonia nuziale sconvolta da liti, urli, pianti, baruffe, spargimento di sangue, traumi psicologici, propone con umiltà forse sincera alla sua sposa un ultimo ballo pacificatore che si conclude con un bacio e poi e poi…..
Il bel film del quasi giovane regista argentino, non a caso prodotto e promosso dal suo “maestro” spagnolo, è un ottimo caso di cinema che riesce ad affrontare temi importanti e difficili con efficacia anche spettacolare ed artistica ( fotografia, recitazione, ritmo ), facendo anche ridere molto, stare col fiato sospeso a momenti con angoscia e paura.
Anche nel romanzo di Vittorini, con altro stile, la combinazione fra azione vorticosa e violenta, dialoghi serrati e pause riflessive intense, riusciva a prendere il lettore arricchendolo di emozioni e pensieri sulla vita di allora e credo ancora sulla vita di oggi.
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