“L’esploratore Teofrasto Dupont, calcando il suolo arido del deserto africano, gioiva in cuor suo di aver divorato in quattro giorni centoventidue chilometri ma si lamentava d’altronde di non aver divorato nulla di più nutriente. ” Ah quei cammelli “– borbottava continuamente. E intanto deplorava di aver trascurato di farsi accompagnare nel suo viaggio da qualcuno di quegli utili quadrupedi.(…).
La sera del quinto giorno arrivò in un’oasi minuscola e scorse subito un negro su una quarantina d’anni placidamente sdraiato ai piedi di un palmizio. L’affamato Dupont fu sul punto di gettarsi sopra costui per divorarselo così crudo com’era. Ma fortunatamente, un’educazione raffinata da sempre i suoi frutti: i principi morali che gli erano stati inculcati mezzo secolo gli impedirono di obbedire così ciecamente agli stimoli dell’appetito. “Un uomo in queste contrade rappresenta sempre un valore commerciale. Io dunque non ho il diritto di mangiare questo indigeno perché non mi appartiene, non è mio(…) Ma che peccato : guardalo com’è bello carnoso e grassoccio. Perché non passa qualcuno della sua Famiglia ? Forse potrei comprarlo.”
Dupont ebbe la gioia di imbattersi in altri tre indigeni seduti sull’orlo di uno stagno lì vicino : un adolescente tisico, un vecchio emaciato e una donna piuttosto coriacea. Chiamò per primo il vecchio in disparte e(…) finalmente riuscì a vincere la sua timidezza di antropofago inesperto : “ Vecchio io desidererei mangiare quell’uomo che sembra piuttosto appetitoso e il mio stomaco urla dalla fame”. “ Volto pallido, veramente le parole appena uscite dalle tue labbra sottili mi fanno supporre che tu abbia perduta la ragione. Ignori dunque quale forza di legami d’affetto unisca il padre al suo figliolo? L’uomo che desideri è Rikokò ed è mio figlio!”. Dupont allora tirò fuori una moneta (…). Il vecchio dopo averla osservata lungamente disse : “ Versa nelle mie mani altre 24 monete come questa e Rikokò sarà tuo”. Dupont esplorò in vano le sue tasche e provò a mercanteggiare ma il vecchio lo salutò e scomparve tra i cespugli brontolando : “ Questo Straniero è matto ! Un ribasso ? No, amo troppo mio figlio”.
Allora Dupont andò dall’adolescente e disse : “ Io vorrei mangiare quell’uomo “ e gli mostrò la moneta rifiutata dal vecchio.(…) Il giovane indigeno rispose : “ Tu mi domandi il permesso di mangiare Rikokò ma non sai insensato quanti vincoli d’affetto leghi un figlio al proprio padre ? Io gli devo i miei giorni ed esigo almeno cinque di queste monete !”. A Dupont mancavano comunque pochi franchi per la cifra richiesta e il negro giovinetto scomparve anche egli fra i cespugli.
Dupont era annichilito e sfiduciato ma si avvicinò alla donna e disse :“ Lo scambio che devo proporti , donna ti sembrerà poco interessante : io vorrei mangiarmi quell’uomo laggiù, a quali condizioni me lo cederesti ?” e così dicendo fece brillar la moneta sotto i suoi occhi. “Tu vuoi mangiare Rikokò ? “ -chiese la donna -“Non scherzi ? E allora buon appetito, amico mio, buon appetito. Tieniti pure la tua moneta, anzi mi permetto di offrirti, per mio ricordo, questa elegante collana di coralli.”
Un grido di gratitudine eruppe dal petto dell’esploratore, baciò le mani della sua benefattrice , si intenerì e pianse : “ Grazie, grazie, ma chi sei tu dunque, nobile straniera che ti comporti così generosamente ?”. “Io ? Sono la Signora Rikokò, rispose dolcemente la donna negra. Sono sua moglie !”.
(Da “RIKOKO’ ed altre novelle gaie “di Max e Alex Fischer- Ed. A.Mondadori 1928).
Due fratelli scrittori umoristi franco-svizzeri in un’Europa ed un Mondo molto vicini alla grande Crisi del ’29, con la avanzata di Fascismi e Nazismi, si divertivano a scherzare su vari temi della vita di quell’epoca fra i quali la relazione familiare fra genitori, figli, mariti e mogli. La novella ( il cui sfondo razzista non considero perché credo fosse soltanto una forzatura ironica) in poche righe smitizza la Famiglia in tutti i suoi aspetti : un padre e un figlio sono pronti a vendere e far morire il proprio parente diretto per soldi, basta trattare, e una moglie è talmente stufa del marito che lo farebbe morire anche senza alcun guadagno se non quello di sbarazzarsene per sempre.
Si ride alla fine, uomini e donne, giovani, adulti e vecchi, ma si ride amaro forse. Il testo, trovato per caso in una libreria- rigatteria che frequento da anni, mi ha colpito non solo per la sua efficacia ma soprattutto perché appunto scritto da uomini e per giunta due, fratelli. Non è certo un caso unico di satira auto ironica ed auto critica da parte di uomini che si immaginano il rifiuto delle mogli relative, ma scritto quasi 100 anni fa diventa assai più interessante e divertente. Oggi quante mogli “darebbero in pasto” il marito volentieri, o per quanti soldi lo “venderebbero” ? E quanti mariti la moglie? E la moglie di Erdogan, il Presidente Turco, cosa farebbe? “Rikokò” Erdogan potrebbe rischiare d’incontrare il Sig. Dupont…… proprio a Istanbul, dove nel 2011 è stata firmata la Convenzione contro la violenza sulle donne del Consiglio d’Europa: l’esploratore francese non si voleva mangiare la donna ma suo marito che era più in carne!
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