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Nobel, quelle che 'possono fare la differenza'

Nobel, quelle che 'possono fare la differenza'

Palestina - Oltre 400 donne hanno partecipato alla conferenza “We can change” a Ramallah e una delegazione Guidata dal Premio Nobel per la Pace Jody Williams ha visitato la Cisgiordania

Antonelli Barbara Lunedi, 15/11/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2010

Jody Williams è Nobel per la Pace. La decima donna ad aver ricevuto il prestigioso premio, la terza americana. La sua vita è costellata di battaglie; le proteste contro la guerra in Vietnam e poi anni di lotte per l’America meridionale: undici dei quali trascorsi a fare lobbying sui vertici della politica statunitense per i diritti delle popolazioni dell'America centrale; dal 1986 al 1992 ha sviluppato e diretto progetti in Salvador e dall’84 all’86 in Nicaragua e Honduras, poi ancora é stata insegnante di inglese come seconda lingua. Nel 2004 Forbes l'ha nominata una delle 100 donne più potenti dell’anno.“Le emozioni senza le azioni sono irrilevanti”, è il suo motto. Incontro Jody Williams a Ramallah, in Cisgiordania (Territori Occupati Palestinesi), in occasione della conferenza “We can change” (“Possiamo fare la differenza”), un workshop in cui oltre 400 donne provenienti da tutta la Cisgiordania (e in videoconferenza da Gaza) si sono chieste come riattivare il ruolo della donna palestinese nella sfera pubblica; Jody Williams si aggira curiosa tra i tavoli delle donne, parla con tutte. Nessuna formalità. Per lei è la prima volta in Palestina. Quando, al termine della prima parte della conferenza, è il suo turno di parlare, chiede un microfono a gelato: niente palco, né discorsi ufficiali. Occhi azzurri limpidi ripete, “Voglio essere in mezzo a voi, vicina”, aggirandosi tra un pubblico femminile stupito, abituato ad altri standard comunicativi. Non nasconde il nervosismo e per rompere il ghiaccio della platea, ammette candidamente di aver paura di dire cose sciocche che possano sembrare totalmente stupide. Quando le chiedo di parlarmi di lei parte dalla sua storia, 60 anni tra una settimana, e poi dalla storia di sua madre, sposata a 16, ma per scelta non per costrizione. “I miei genitori erano cosi giovani che non hanno mai finito nemmeno la scuola secondaria. Mia madre ha avuto il primo figlio a 17 anni e a 23 anni aveva già 4 figli. Mio fratello é nato sordo, a 13 anni é diventato uno schizofrenico violento e questo ha avuto un impatto enorme su di me e su tutta la mia famiglia. 5 anni fa mio padre è morto e solo allora ho scoperto che era cresciuto in una casa negli Stati Uniti, senza acqua potabile né elettricità. Andava a piedi al pozzo a prendere l’acqua. Quando era in vita si é sempre vergognato di dircelo”. “Vengo dal niente, dalla povertà. Ma la fissazione dei miei genitori é che ricevessimo un’istruzione. Ai miei tempi le ragazze facevano le insegnanti, a 25 non sapevo cosa fosse l’attivismo sociale. A 30, non sapevo che esistesse qualcos’altro della Palestina oltre a qualche nozione base sulla Palestina biblica”. Un background non brillante, cosi dice di se stessa, Jody. Ma poi è uscita dalla sua cittadina nel Vermont “dove le vacche erano il doppio degli esseri umani”. Ha incontrato altre donne, ha iniziato a lavorare insieme, per cambiare il mondo. Questo è il fondamento alla base della Nobel’s Women Initiative. Jody ci tiene a ricordarlo, solo 12 donne Nobel, in oltre cento anni di storia del premio. “Sono le donne a soffrire maggiormente nei conflitti, è tra le donne che c’è il maggior numero di rifugiati, eppure quando si parla di pace, sono spesso gli uomini a vincere il Nobel. La nostra idea è mettere insieme donne che possano esercitare una maggiore pressione sui governi, sulle società. Aver ricevuto il Nobel ci permette solo di essere ascoltate di più. Di fare la differenza, in qualche caso. Per una pace che sia soprattutto uguaglianza di genere e giustizia sociale”. “Siamo qui per imparare da voi, non veniamo da esperte - dice Jody Williams al termine della conferenza - educateci perché da voi abbiamo tanto da imparare, possiamo raccontare la vostra storia in maniera diversa, in altri luoghi”. “Perché le emozioni, le identità e la storia non si possono negoziare” si legge a fine giornata sul suo blog. Cosi Jody Williams e la delegazione di donne sotto il cappello della Nobel’s Peace Initiative, hanno girato la Cisgiordania, visitando Hebron, la città divisa, dove circa 400 coloni israeliani tengono in scacco una popolazione intera, e poi i villaggi di Bi’lin e Ni’lin, dove da oltre 5 anni i comitati popolari palestinesi hanno intrapreso un percorso di resistenza nonviolenta contro la barriera costruita da Israele. L’iniziativa delle Donne Nobel nasce nel 2006 da Jody Williams e ad altre cinque insignite del premio: l’iraniana Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Rigoberta Manchu Tum, Betty Williams e Mairead Maguire. Ogni due anni la delegazione visita un paese diverso, per incontrare gruppi di donne, creare ponti e network, condividere esperienze. Le ultime visite a fianco delle donne birmane e nei campi del Chad tra le rifugiate sudanesi. Ascoltarne le prospettive, le speranze, le storie. Nel caso delle donne palestinesi, testimoniarne la battaglia quotidiana contro l’occupazione militare ma anche contro una società patriarcale. Il controllo sulla libertà di movimento e le conseguenti restrizioni adottate dalle politiche israeliane, hannno creato in Cisgiordania uno scenario frammentato, socialmente ed economicamente. Con una rivoluzione sui modelli di relazione uomo-donna e con un cambiamento nella partecipazione delle donne alla forza lavoro. In risposta ad un generalizzato aumento della disoccupazione maschile, le donne palestinesi hanno intrapreso strategie per impedire la rovina economica delle famiglie, trovando impieghi soprattutto nel settore pubblico. Nonostante un leggero incremento, la partecipazione delle donne palestinesi al mondo del lavoro è però tra le piu basse al mondo, circa il 16% (18% in Cisgiordania, 12% a Gaza), e addirittura anche tra le più basse tra i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. “Pace non è assenza di un conflitto armato - afferma Jody Williams - è l’impegno per l’uguaglianza e la giustizia. Un mondo democratico libero da violenza fisica, economica, sessuale, religiosa e ambientale e dalla costante minaccia che tutte queste forme di violenza siano attuate contro le donne”. “Essere un Premio Nobel è un grande onore, ammette Jody - ma anche una grande responsabilità. Per questo abbiamo creato il gruppo di Nobel, per rafforzare e mettere in rete il lavoro fatto da altre donne nel mondo. Un lavoro che spesso rimane nell’ombra”. Alla base c’è il fondamento di con-dividere informazione ed esperienze, lavorare per i diritti di tutte. Tra le partecipanti alla delegazione c’è Jaanan Hashim, giornalista di origini irachene. “Come mi sentirei se la mia terra fosse presa con totale impunità, se come contadino, i miei campi fossero ridotti in rovina?” scrive a fine giornata sul blog. E poi una donna rabbino, due giornaliste, un’avvocata, due manager d’azienda e una fotoreporter. Tutte con l’intento di ascoltare “una storia diversa”. “Perché la storia ufficiale in quasi tutti i paesi ha più peso delle centinaia, migliaia a volte milioni di voci che raccontano una storia diversa degli stessi eventi?” si chiede la Williams al termine della prima giornata di tour palestinese. La delegazione è andata avanti senza l’altro Premio Nobel per la Pace, Mairead Maguire, bloccata al suo ingresso all’aeroporto di Tel Aviv dalle autorità israeliane. Alla irlandese Maguire, premiata nel 1976 per il suo attivismo pacifista in Irlanda del Nord, non è stato permesso di entrare nei territori palestinesi e dopo sei giorni di detenzione, battaglie legali contro la deportazione e appelli alla Corte Israeliana, è stata rimandata indietro. Una decisione che i suoi avvocati hanno definito “illegittima e arbitraria, perché fondata su considerazioni di tipo politico”, dal momento che la Maguire ha sempre manifestato apertamente la sua voce critica nei confronti dell’occupazione israeliana e dell’assedio di Gaza, partecipando in passato a diverse manifestazioni nei villaggi della Cisgiordania e nello scorso maggio al convoglio umanitario Freedom Flotilla, diretto a Gaza. “Dedicare la tua vita alla pace non dovrebbe essere una minaccia alla sicurezza nazionale”, ha commentato subito Jody. Eppure per Israele lo è.



(15 novembre 2010)

 

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