Emilia Romagna - L’Emilia-Romagna come laboratorio di innovazione sociale
Marani Paola Lunedi, 14/11/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2011
xDa mesi a Bologna, con un dibattito che ha finito per investire anche la dimensione regionale, ci si interroga sul futuro del sistema di welfare locale. I fondi destinati al sociale trasferiti dallo Stato alla Regione hanno subito una riduzione del 75%, i tagli agli enti locali e i tetti di spesa relativi al personale non solo impediscono l’ampliamento dei servizi, ma stanno mettendo a dura prova la possibilità di mantenere l’attuale offerta. Lo scenario che si prefigura, in vista dell’approvazione della legge delega sull’assistenza del governo, è un’idea di welfare residuale e caritatevole, che nega l’esigibilità dei fondamentali diritti sociali per l’infanzia, i disabili e gli anziani non autosufficienti.
La nostra Regione ha la percentuale più alta d’Italia di donne che lavorano (oltre il 60%) e ha saputo tenere insieme, fino ad oggi, sviluppo e servizi alle persone, in quanto fattori determinanti del nostro modello di coesione sociale. L’investimento più significativo nelle politiche sociali dei nostri Comuni è stato quello sui servizi alla prima infanzia: oltre il 30% dei bambini da 0 a 2 anni in Emilia-Romagna frequentano asili nido, che per il 70% sono pubblici e per il 30% sono gestiti da privati. Si tratta di un’offerta presente nella quasi totalità dei Comuni e caratterizzata dal fatto che i Nidi sono diventati sempre più punti di diffusione di una cultura dell’educazione e di sostegno alla genitorialità. Questo grazie a uno straordinario processo di partecipazione che ha saputo cogliere le esigenze delle famiglie, le istanze più avanzate del pensiero pedagogico, una generazione di educatori fortemente motivati e consapevoli della rilevanza di un servizio rivolto a una fascia di età così delicata. Non va poi dimenticato che negli stessi anni l’assunzione della sfida educativa volta alla conciliazione fra diritti dei bambini, esigenze sociali e didattiche, ha visto la nostra Regione supplire all’assenza dello Stato nell’istituzione delle scuole materne, nella diffusione del tempo pieno (avviato dalle amministrazioni locali) e nell’integrazione dei bambini disabili nei servizi educativi e nella scuola.
Le istituzioni locali, sopperendo con risorse proprie, hanno in questi anni contrastato il costante disinvestimento dello Stato, che ha portato a una progressiva riduzione del tempo scuola e a disattendere all’obiettivo di generalizzazione della scuola dell’infanzia. E tuttavia, oggi, le istituzioni locali non solo non sono più in grado di svolgere questo ruolo di supplenza, faticano anche a garantire i servizi di loro competenza e a rispondere a una domanda che cresce nella quantità e nella complessità.
Nel dibattito di questi mesi, che ha investito la comunità regionale in tutte le sue componenti, si sono misurate due correnti di pensiero: chi ritiene prioritario conservare ciò che si è costruito pur consapevole che di anno in anno il sistema dell’offerta sarà sempre meno in grado di rispondere alla domanda; e chi ritiene vadano ricercate nelle energie sociali, economiche e culturali della comunità nuove opportunità di rilancio e allargamento dei servizi. Anche la grande ricchezza del volontariato, a oggi in parte inespressa a causa dell’incapacità del sistema di aprirsi ad apporti esterni, potrebbe e dovrebbe riuscire a integrarsi in maniera organica nella rete dei servizi. È questa un’estrema semplificazione di quel principio di sussidiarietà più volte richiamato negli ultimi mesi e visto con preoccupazione da parte di chi intravede in questo disegno la rinuncia del pubblico a garantire i diritti sociali e la frantumazione del sistema dell’offerta. Credo che la sfida di oggi per chi amministra nell’ottica del bene comune stia nella capacità di promuovere una corresponsabilità che valorizzi tutte le risorse disponibili, rafforzando il ruolo del servizio pubblico nella programmazione, regolazione e regia delle politiche sociali. Non si tratta di indebolire il ruolo del pubblico ma di attrezzarlo, facendo sì che la funzione di controllo, indirizzo e supervisione garantisca i requisiti pubblici di qualità e accesso dei servizi. In materia di Nidi, la nostra Regione ha saputo costruire un modello fortemente strutturato sul piano sociale ed educativo, con standard e regole che devono rappresentare la cornice dentro cui possano muoversi i vari gestori, pubblici e privati. La diffusione di sperimentazioni da parte di soggetti diversi, a partire dalle forme di autorganizzazione delle famiglie, non possono prescindere dalla centralità del bambino e dalla qualità delle figure professionali che se ne occupano. Allo stesso modo, laddove mutano le esigenze delle famiglie (sempre più sole) e aumenta la flessibilità del lavoro, è sempre più indispensabile ricercare il punto di equilibrio fra le esigenze familiari e il rispetto dei diritti di tutti i bambini.
È questa la sfida che deve investire le amministrazioni pubbliche: ripartire dai bisogni, essere in grado di adeguare l’offerta pubblica ai cambiamenti sociali, offrire opportunità anche a quel 70% dei bambini che, per scelta o necessità, non frequentano i Nidi; inoltre, far sì che le iniziative delle famiglie, delle aziende, del privato profit e no profit siano ancorate a un sistema di regole e controlli capaci di garantire sicurezza, qualità e pari opportunità.
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