Ni una menos. Verso il corteo nazionale del 26 novembre
- La rete romana Io decido ha lanciato per l’8 settembre nella Capitale un nuovo appuntamento di discussione pubblica sulla violenza sessista in vista dell’assemblea nazionale dell’8 ottobre e della due giorni il 26 e 27 novembre a Roma
Silvia Vaccaro Martedi, 02/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016
Neanche quest’anno la violenza contro le donne è andata in vacanza. Circa cinquanta donne sono morte dall’inizio dell’anno e la risposta delle istituzioni, chiamate a contrastare il fenomeno, è parsa ancora del tutto inadeguata. Non solo per via delle iniziative messe in campo, come ad esempio il criticato camper della Polizia di Stato, ma anche per via della scarsissima attenzione nei confronti di quei soggetti che combattono nel quotidiano, e da anni, la violenza maschile attraverso servizi di supporto alle donne e iniziative volte a cambiare la cultura che dei femminicidi è alla base. Quel patriarcato che non si deve aver paura a nominare e che a latitudini diverse si manifesta con tratti peculiari, e che per fare una semplificazione brutale vorrebbe uomini e donne sempre uguali nei secoli: i primi un gradino più su delle seconde, convinti della loro superiorità e di poter rivendicare il diritto al possesso della vita altrui, in particolare delle donne con le quali hanno avuto una relazione, che sia o sia stata sentimentale o familiare. Da anni si discute della necessità di un cambiamento culturale che parta dall’educazione di genere nelle scuole, passi per una narrazione mediatica delle donne, e di quelle che hanno subito violenza, attenta e non ri-vittimizzante, e che preveda la formazione del personale sanitario e della polizia e il supporto ai centri anti-violenza, gli sportelli auto-gestiti e le associazioni che offrono ascolto e rifugio alle donne nei territori.
In Italia da nord a sud i centri antiviolenza sono in seria difficoltà. Nella capitale lo scorso 27 giugno ha chiuso i battenti lo sportello anti-violenza SOS Donna di Grotta Perfetta gestito dalla cooperativa sociale Be Free, e rischiano di dover interrompere il servizio lo sportello Assolei e il Centro Donne Dalia. A partire da questo dato e dopo l’orribile femminicidio di Sara Di Pietrantonio, la rete romana Io decido, nata a seguito della mobilitazione delle donne spagnole contro la proposta dell’allora ministro Gallardòn di limitare nella penisola iberica il diritto all’aborto, proposta in seguito ritirata e che è costata al Ministro la poltrona, ha deciso di mobilitarsi per prendere parola e agire per contrastare la violenza maschile.
A cavallo tra giugno e luglio si sono susseguiti nella capitale tre appuntamenti importanti: due assemblee pubbliche e un presidio che ha portato a un incontro con la sindaca Virginia Raggi, che ha ribadito l’importanza dei centri anti-violenza per poi però fare marcia indietro decidendo di tagliare dal bilancio 300mila euro che a loro erano destinati.
Ma i servizi per le donne non sono in difficoltà solo a Roma. La situazione è drammatica a Palermo dove l’associazione Le Onde non può più garantire il servizio, a Napoli dove Casa Florinda, l’unica casa rifugio della città, ha chiuso i battenti e in Sardegna, a Pisa e Arezzo. Per questo la rete Io decido ha deciso di avviare un confronto e una discussione di livello nazionale.
Con questo obiettivo, ad agosto è stato diffuso un appello, sottoscritto anche dall’Udi e dalla rete D.i.Re (l'associazione nazionale di centri antiviolenza, ndr) che chiama a raccolta le energie per una assemblea nazionale prevista per l’8 ottobre e una due giorni il 26 e 27 novembre. Sabato 26 ci sarà un corteo e il giorno dopo una discussione attorno a tavoli di lavoro tematici. Ci si confronterà sul ruolo dei media, sulla centralità dei centri anti-violenza, sull’importanza cruciale dell’educazione alle differenze nelle scuole di ogni ordine e grado di fatto ostacolata o nel migliore dei casi relegata come un insegnamento di serie B.
L’idea delle attiviste è quella di creare sinergie tra le varie esperienze italiane, perché solo insieme si possono proporre alternative di lettura del fenomeno della violenza e possibilità di intervento con uno sguardo a trecentosessanta gradi. Perché la violenza venga affrontata non come un’emergenza o un problema di ordine pubblico ma come il frutto di una cultura patriarcale che va messa in discussione in ogni contesto e attraverso i mezzi che le donne hanno “inventato”. Nell’appello le attiviste ci tengono a sottolineare che la due giorni romana di novembre non sarà l’obiettivo finale di questa chiamata a raccolta, bensì solo il punto di partenza di un percorso comune e radicale tutto da costruire. Un obiettivo ambizioso che può fare molto bene ai femminismi italiani.
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