Come stanno pianificando i Paesi europei per ridurre il gap di genere. Articolo di Francesca Basso pubblicato in 27ma ora (aprile 2021)
Domenica, 18/04/2021 - Certifica l’Istat che su 101 mila lavoratori che hanno perso il posto a dicembre 2020 (-0,4% rispetto a novembre), 99 mila sono donne. E pensare che il 2019 era stato l’anno record per l’occupazione femminile in Italia con il 51,6%. È l’effetto Covid, che ha riportato il tasso sotto il 50%, facendolo scivolare al 48,6%. La pandemia ha colpito i settori a più alta occupazione femminile: turismo, servizi, terziario. I piani nazionali di ripresa e resilienza che gli Stati membri devono presentare a Bruxelles entro il 30 aprile per accedere ai fondi di Next Generation Eu (il pacchetto da 750 miliardi deciso per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid, di cui l’Italia è il primo beneficiario) non potranno prescindere da misure a sostegno dell’inclusione femminile nel mondo del lavoro. Questo per ragioni non solo sociali ma anche e soprattutto economiche.
Il regolamento della Recovery and Resilence Facility, lo strumento che vale il 90% di Next Generation Eu, stabilisce come gli Stati membri debbano strutturare i piani nazionali di ripresa e resilienza per ottenere i fondi da Bruxelles e indica tra gli obiettivi l’attenuazione dell’«impatto sociale ed economico della crisi, in particolare sulle donne».
All’Italia sono destinati circa 70 miliardi di trasferimenti, che rappresentano circa il 4% del nostro Pil. Le linee guida pubblicate dalla Commissione Ue in febbraio spiegano che gli Stati membri devono delineare le sfide nazionali più importanti in termini di uguaglianza di genere e pari opportunità per tutti, comprese quelle derivanti o aggravate dalla crisi scatenata dal Covid, tenendo conto di alcuni fattori: la parità di trattamento e le opportunità tra donne e uomini devono essere garantite e promosse in tutti i settori, anche per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, le condizioni di occupazione e avanzamento di carriera; donne e uomini hanno diritto alla parità di retribuzione per un lavoro di pari valore.
Per ottenere i trasferimenti e i prestiti sarà necessario dimostrare di avere raggiunto in modo soddisfacente obiettivi specifici concordati con la Commissione.
Non una banalità perché, come metteva in evidenza Daniela Carlà in un seminario web su «Recovery Plan. Valutazione e impatto di genere», organizzato da Noi Rete Donne,il nostro Paese registra «una difficoltà di valutazione delle politiche pubbliche in generale», e dunque son sarà diverso per la valutazione dell’impatto di genere.
Secondo le linee guida della Commissione, ha ricordato Valentina Cardinali, gli Stati membri devono riportare una sintesi del processo di consultazione con i portatori di interessi nazionali, indicare il contributo previsto per l’uguaglianza di genere e spiegare come le misure contribuiranno alla parità di genere (gender assessment), insomma i risultati attesi e previsti.
Il Recovery Plan italiano è in fase di definizione ma come spiegava Germana Di Domenico, responsabile al Mef dell’ufficio che si occupa delle relazioni finanziarie europee, la parte sulle donne nei tre assi strategici e nelle sei missioni non subirà mutamenti rispetto alla bozza del 12 gennaio scorso. Per le riforme strutturali da includere nei piani, i governi devono recepire le raccomandazioni Paese della Commissione del 2019 e 2020. «Per l’Italia la raccomandazione numero due del 2019— ricorda Di Domenico — indica la necessità di sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale, in particolare garantendo l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia di qualità e a lungo termine».
Il piano di ripresa a cui sta lavorando il governo prevede investimenti in infrastrutture sociali e servizi per favorire l’inclusione femminile e anche sul versante della domanda di lavoro. Gli interventi diretti alla riduzione delle diseguaglianze di genere si concentrano su tre missioni: istruzione e ricerca, soprattutto nelle discipline Stem; salute; inclusione e coesione con interventi diretti a ridurre le diseguaglianze attraverso investimenti in infrastrutture sociali e servizi per favorire l’occupazione femminile. «Nella costruzione del piano — prosegue Di Domenico — c’è stata molta attenzione nell’affrontare il tema delle politiche attive del lavoro, in particolare i percorsi formativi per far fronte a possibili squilibri e disallineamenti tra competenze richieste ed offerte in seguito alla due transizioni ecologica e verde».
L’Italia, così come la Spagna e la Germania, hanno scelto un approccio trasversale. «L’intero piano sarà valutato in un’ottica di gender mainstreaming e le linee di intervento saranno accompagnate da un set di indicatori qualitativi e quantitativi per una valutazione ex ante ed ex post», spiega Di Domenico che sottolinea come «l’Italia abbia incluso interventi con effetti sulla domanda e l’offerta di lavoro femminile come le misure a sostegno dell’imprenditoria femminile».
Il Recovery Plan prevede «investimenti in infrastrutture sociosanitarie che aiutano la vita delle donne», osserva Paola Casavola, che però mette in guardia: «Funzionano se nel frattempo si riorganizza anche la spesa corrente».
Ma cosa fanno gli altri Paesi? La Germaniacon il programma di investimenti «Childcare Financing» per il 2020-2021 concede agli stati federali e ai comuni aiuti finanziari per investimenti in strutture di assistenza diurna e asili nido per bambini dalla nascita all’ingresso a scuola. La disponibilità di strutture per l’infanzia — spiega la bozza piano tedesco — crea i prerequisiti affinché i genitori, in particolare le madri sole, possano partecipare al mercato del lavoro o aumentare il proprio orario di lavoro. Ciò non solo promuove il reddito salariale, ma assicura anche il reddito pensionistico di questo gruppo di popolazione a lungo termine e contribuisce alla sostenibilità del sistema pensionistico attraverso una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. In definitiva, questa misura mira anche a raggiungere una maggiore parità di genere nella società». Sono anche previste quote minime per la rappresentazione delle donne nei consigli di amministrazione delle società.
«Alla Germania — ricorda Di Domenico — la Commissione chiede di ridurre l’elevato cuneo fiscale, soprattutto per le persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare, segnatamente le donne». Ma di questo nel piano non c’è traccia.
Il piano portoghese è rimasto in fase di consultazione pubblica fino all’inizio di marzo, ora è in fase di completamento, gli elementi costitutivi principali sono dunque stabiliti mentre i dettagli esatti non sono ancora noti. Ha comunque integrato in modo orizzontale e trasversale la prospettiva di genere, basandosi sulla Strategia nazionale per l’uguaglianza e la non discriminazione 2018-2030 e sulla Strategia Ue per l’uguaglianza di genere 2020-2025 presentata dalla Commissione nel marzo di un anno fa. Prevede misure per promuovere la parità di retribuzione e promuovere una rappresentanza equilibrata nelle posizioni decisionali, ma anche per combattere gli stereotipi che limitano le scelte formative di ragazze e donne e modellano le disuguaglianze future. È prevista un’espansione delle risposte sociali che contribuiscono a ridurre lo squilibrio del lavoro non retribuito, promuovendo la piena ed equa partecipazione di donne e uomini al mercato del lavoro. Attenzione alla parità di genere è presente nella parte dedicata alla transizione digitale e alla riqualificazione dei lavoratori, e nella parte sulla scuola e la lotta agli stereotipi in ambito digitale. Tra le azioni contemplate anche soluzioni di alloggio urgenti e temporanei nel contesto della lotta alla violenza contro le donne. In linea con gli obiettivi di politica pubblica nazionale, il piano portoghese prevede meccanismi di monitoraggio di indicatori disaggregati per genere.
Il piano francese, invece, non è declinato in una prospettiva di genere ma si concentra soprattutto sui giovani e sui disabili. «Il divario di genere in Francia — osserva Di Domenico — è inferiore rispetto alla media europea». Tuttavia, per beneficiare dei fondi della Recovery and resilience facility, le imprese devono rafforzare le misure di trasparenza per far fronte alle disparità salariali di genere. Il piano spagnolo si concentra su percorsi formativi e materie Stem e sul rafforzamento delle infrastrutture per la cura dell’infanzia. Prevede anche interventi per contrastare la violenza di genere. Ora si tratta di vedere i piani finali, che sono il risultato di un dialogo continuo con i tecnici della Commissione europea e che hanno come fine ultimo quello di rispondere alle linee guida di Bruxelles per poter ottenere i fondi indispensabili per la ripresa post Covid. Articolo di Francesca Basso pubblicato in 27ma ora (aprile 2021)
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