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Nessuno tocchi la 194. E qualcuno ci aiuti ad applicarla davvero.

Nessuno tocchi la 194. E qualcuno ci aiuti ad applicarla davvero.

L'eventuale imitazione della propsta spagnola in materia di aborto sarebbe un boomerang per un sistema di welfare incapace di perseguire il familismo a cui dichiara di ispirarsi. E forse sarà proprio questo tallone di Achille che ci salverà.

Martedi, 21/01/2014 - Siamo tutte spaventate dal dietrofront spagnolo in materia di aborto. E non ci accorgiamo che tra le righe la proposta Gallardòn insiste anche su qualcosa anche più pericoloso: l’imposizione della maternità, la riconduzione della femmina al suo ruolo essenzialmente procreativo ed accuditivo. D’altronde, solo lo stupro può rendere veramente intollerabile – persino per gli antiabortisti – l’accoglienza di un nuovo figlio: ed ecco fatta l’eccezione alla nuova regola.

E se accadesse anche da noi? Le mai sopite polemiche tra pro e anti aborto giustificano il timore di un contagio. Ma forse l’antidoto starà proprio in questa malcelata retorica sulla maternità (che può diventare – anzi: ridiventare – anche un sistema per allontanare le donne dal mercato del lavoro in epoche di crisi. Ma questa è un’altra storia).

Retoriche a parte, se davvero la L.194 venisse liquidata con altrettanta sbrigatività, il Paese compirebbe una scelta alquanto miope: non solo perché ritornerebbero tutte quelle brutture che forse abbiamo troppo presto dimenticato ma soprattutto perché, oggi più che mai, all’eventuale cancellazione del diritto all’aborto corrisponderebbe, esattamente come fu per la L.40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, un doppio binario (economico) tra chi subisce la legge nazionale e chi si può avvantaggiare di normative più permissive oltreconfine.

E dire che il punto non dovrebbe essere decidere se mantenere o meno l’accesso all’IVG. Il punto dovrebbe essere, semmai, poter disporre di politiche coerenti con le possibilità già aperte dalla legge, che sono più di una e, oltretutto, non unidirezionali dal punto di vista etico. Troppo spesso dimentichiamo che la L.194 non è “la legge dell’aborto” ma un insieme di disposizioni per la “procreazione cosciente e responsabile”.

Molti sembrano ancora dimenticare che prima – molto prima – dell’accesso all’IVG la Legge prevederebbe, sempre e comunque, un fondamentale processo di ascolto e accompagnamento della donna, non solo in termini informativi ma anche attraverso tutte le forme di supporto concreto che possono rendersi necessarie per risparmiare alla stessa la dolorosa scelta di interrompere una gravidanza.

Nonostante questo, per alcuni la situazione dev’essere ancora drammatica (gli aborti, lo ricordiamo, sono ancora numericamente in calo http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf ) se ci sarebbero addirittura i numeri per inaugurare un cimiterino dei feti http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_04/aborto-roma-cimitero-bimbi-mai-nati_7f64ee9c-36d6-11e1-9e16-04ae59d99677.shtml . Perché ancora così tante IVG? si chiederanno costoro. Perché l’unica maniera per rifiutare la maternità è l’IVG? mi chiederei invece io al posto loro.

Si potrebbero avanzare due ipotesi. La prima è di tipo culturale.

Non entreremo ovviamente nel merito di chi rifiuta sia la maternità che la gravidanza (posizione a cui, dicevamo, è insensato negare le tutele vigenti), e ci focalizzeremo invece su chi non può o non vuole diventare madre ma potrebbe avere problemi etici nel ricorrere all’IVG: coloro, cioè, che potrebbero effettivamente contribuire a un’ulteriore riduzione del numero complessivo di questo tipo di interventi.

Per chi crede che qualunque frutto del concepimento sia vita è infatti già possibile il parto nel più totale anonimato, con la certezza che al neonato verrà donata una famiglia pronta a dargli tutto quel rispetto e quell’amore a cui avrebbe diritto sin da subito. Peccato che nell’immaginario comune un’operazione del genere viene spesso additata come “abbandonare il proprio figlio”. Invece di riconoscere un atto di amore in quello che può anche essere un grande sacrificio, si punisce moralmente la donna per non aver voluto accettare aprioristicamente un ruolo genitoriale che, a questo punto, dovrebbe scaturire meccanicamente (e si noti: solo dentro di lei!) dalla mera unione dei gameti.

E invece madri (e anche padri!) lo si diventa innanzitutto nella testa, come ampiamente dimostrato dalla pedagogia, dalla psicologia, dalle scienze sociali. Ma lo possono dimostrare quotidianamente, soprattutto, un’infinita di famiglie adottive.

Comunque, l’insistenza sull’indissolubilità del legame genitoriale tra la donna e il neonato (magicamente svincolabile, invece, dal pur necessario donatore dei cromosomi XY) troppo spesso si trasforma in un tabù che ben poche sono disposte a violare. Con due spiacevoli conseguenze. In alcuni casi, determina una scelta molto meno gradita, ma più facilmente occultabile (“ Se non posso tenerlo, piuttosto ricorro all’IVG”).

In altri casi (di cui qualcuno, chissà perché, non tiene mai il conto), queste donne mettono a tacere etica e tabù accettando, loro malgrado, una maternità che molto spesso non sono davvero intenzionate o capaci di gestire . Con danno molto probabile per se’ stesse e per il bambino, anche perché – amara sorpresa! –non c’è premio per chi si adegua alla morale imperante, soprattutto quando si tratta di madri sole.

Seguendo il faticoso cammino di queste ultime scopriremmo infatti – e qui veniamo seconda ipotesi, quella politica – che impietosi tagli ai trasferimenti economici (e alla fornitura di altre risorse) verso gli enti prioritariamente preposti alla tutela dell’applicazione della L. 194 hanno drasticamente minato l’efficacia del servizio pubblico, ben prima che dilagasse il fenomeno degli obiettori di coscienza. Al suo interno le più varie figure professionali, anche lavorando con abnegazione, riescono nei casi più fortunati a erogare magri aiuti (anche in termini di servizi). Aiuti oltretutto non pensati in funzione del fatto che i figli diventano più costosi quanto più crescono, e che soffriranno maggiormente della miseria morale e materiale in cui potrebbero ritrovarsi quanto più acquisiranno maturità e consapevolezza.

E mentre, da un lato, gli operatori (non solo dei consultori, ma anche degli enti locali che dovrebbero ad essi subentrare nel monitoraggio della situazione nelle successive fasi di vita) rimangono col cerino in mano, dall’altro le donne devono davvero rassegnarsi a rimboccarsi le maniche.

Su quali premesse, dunque, potrebbe il nostro welfare pensare di “salvare” davvero un numero ancora più alto di cosiddetti bambini mai nati? Vogliamo davvero avviare l’ennesima riforma ad alto impatto sociale e sanitario senza avere nemmeno la copertura economico-finanziaria per farlo?

La verità allora è, forse, che sul nostro corpo e sulla nostra autodeterminazione, donne, si gioca una partita molto importante che trascende il qui e ora delle nostre esistenze. E che un sistema immobile, classista e misogino, deve assolutamente controllare, in un modo o nell’altro, per potersi riprodurre uguale a sé stesso. Anche ricorrendo al nonsense e all’incoerenza, se necessario, di una retorica ipocritamente familista: questo, forse, è il più grande problema contro cui dovremmo unirci tutti, abortisti e non.

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