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Nessuna donna è campo di battaglia

Nessuna donna è campo di battaglia

Uruguay - Donne in nero - La Rete delle Donne in Nero e le pratiche femministe e antimilitariste in occasione dell'incontro internazionale di Montevideo

Tough Patricia Domenica, 24/11/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2013

“Ninguna mujer es campo de batalla” era il titolo del sedicesimo Incontro Internazionale delle Donne In Nero (DIN) che ha messo a confronto delegazioni provenienti da Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, USA.

Dal 19 al 24 agosto scorso Montevideo ha accolto con grande riguardo le partecipanti: la sindaca Ana Oliveira ha proclamato la capitale dell’Uruguay ‘città della pace’ durante la sei giorni femminista e il Governo ha definito l’incontro di “interesse nazionale”.

NOIDONNE ha raccolto il racconto di Patricia Tough, della delegazione italiana delle DIN, che ha seguito con passione i dibattiti cui hanno partecipato anche professioniste e donne della cultura latinoamericana. “È stato un incontro molto movimentato con continui spostamenti da un luogo all'altro per le varie e numerose attività organizzate, il tutto in una atmosfera di grande condivisione, affetto e allegria. È apparsa immediatamente chiara la diversità dei temi posti al centro dell’impegno delle DIN dell'Uruguay (violenza domestica, diritto all'aborto, femminicidio) su cui hanno lavorato molto ponendo anche la questione del destino degli orfani/e del femminicidio e ottenendo una legge in proposito, oltre ad una legge non ancora soddisfacente sull'aborto.

In genere nei vari gruppi delle DIN nel mondo la questione della violenza sulle donne si ascrive in una visione femminista a partire dal rifiuto della guerra, vista come prodotto del patriarcato e ad esso necessaria per tenere in piedi un simbolico maschile che perpetua l'ordine patriarcale del mondo, attraverso il militarismo e la militarizzazione dei territori che escludono le popolazioni dalle decisioni ed espongono le donne ad un crescendo di violenza da parte dei maschi proprio per la violenza insita nel ricorso alla guerra.

Di questo hanno parlato a lungo le donne del Congo, di una violenza sistematica e strutturale dentro un progetto genocidario con al centro il corpo delle donne.

Uno dei temi più importanti legato strettamente al militarismo è stato quello delle dittature e delle guerre di oggi, affrontato sotto i titoli ‘crimini di guerra’ e ‘verdad, justicia y reparacion’; in Uruguay rappresenta ancora una grossa ferita la modalità dell'uscita dalla dittatura nel 1985 con il patteggiamento fra militari e tupamaros attraverso un accordo che ha portato alla ‘ley de caducidad’ che ha voluto dire ‘impunità’. È stata una scelta frutto di una concezione militarista che è stata subita dalle donne. Abbiamo incontrato donne che sono state imprigionate e torturate durante il regime e che ci hanno parlato di come era nato il loro impegno politico, come avevano vissuto la reclusione, l'essere in balia totale dei torturatori ma anche la solidarietà, la capacità di continuare a discutere e a progettare il futuro. Ci hanno parlato anche dello stupore di fronte alle condanne loro comminate senza colpe gravi, alla estrema violenza della dittatura dentro e fuori le carceri, del loro entusiasmo giovanile per un progetto di cambiamento che attraversava tutta America Latina e poi la delusione per l'esclusione dalle decisioni, il bisogno di verità e giustizia negato. Ana Valdes, per esempio, è stata incarcerata ma non aveva un ruolo attivo nella lotta armata, era una delle tante giovani affascinate dagli obiettivi sociali che questa si poneva. Il tema delle dittature è entrato in maniera prepotente nell'incontro con la presenza di Argentina, Cile, Guatemala, Uruguay e c’è stata anche gioia per il risultato del processo a Rios Montt, dittatore del Guatemala condannato per genocidio. È stata la prima condanna per questo crimine comminata a un dittatore, frutto della ostinazione incrollabile delle donne che tanto hanno sofferto e lottato per ottenere verità e giustizia. Ma è stata sottolineata la questione dell'impunità per i crimini di guerra in Serbia e non solo, il permanere al potere di criminali di guerra, il potere degli eserciti rimasto intatto anche dopo massacri conclamati e violente repressioni.

Il tema dell’antimilitarismo è stato centrale nelle discussioni, per tutte le conseguenze che il militarismo ha nella vita delle popolazioni e in particolare della donne e ne hanno parlato le DIN colombiane (Ruta Pacifica de las Mujeres) che su questa questione hanno costruito il loro attivismo contro il conflitto armato sessantennale in Colombia caratterizzato da una violenza anche qui sistematica sulle donne (bottino di guerra e campo di battaglia fra le diverse fazioni anche i guerriglieri).

I diritti sessuali e riproduttivi intesi come libertà ed autonomia femminile rispetto alla sessualità, alla maternità e alla gestione della propria vita è stato l’altro filone di confronto. Le giovani cilene di Linea aborto hanno parlo del loro lavoro sull'aborto come strategia politica che mette in discussione la primazia della famiglia eterosessuale, il patriarcato e il sistema patriarcale per dare alle donne la voglia di recuperare la loro autonomia.

Il Congresso si è concluso con un documento in cui il movimento ‘internazionale di attiviste femministe, antimilitariste, pacifiste’ afferma di ‘rifiutare i conflitti armati’, le ‘guerre umanitarie e le guerre preventive’ oltre alle guerre sociali generate dall’economia neoliberista’”.



Leggi la versione integrale e il documento su: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=04841







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