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Nell’osso della parola

Nell’osso della parola

Poesia / Elisa Biagini - Versi essenziali e ruvidi che con improvvisi abbagli e musicalità vibrante mirano al nocciolo della vita

Benassi Luca Lunedi, 15/03/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2010

La generazione dei poeti nati negli anni Settanta si è imposta a partire dal 1999, con la pubblicazione delle antologie “Lavori di scavo” e “L’opera comune” a cura di Giuliano Ladolfi (Edizioni Atelier). Si tratta di un interesse critico ed editoriale che ha finito per coinvolgere anche la Mondadori, che ha dato alle stampe, nel 2004, l’antologia “Nuovissima poesia italiana” a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi. Alcuni dei poeti di questa generazione, dopo gli esordi in rivista e antologia, sono approdati a collane importanti; fra di essi c’è la fiorentina Elisa Biagini, classe 1970, che nel 2004 ha pubblicato per la collana Bianca di Einaudi. Nella quarta di copertina di “questi nodi” (Gazebo, Firenze 1993), la raccolta d’esordio, Gabriella Maleti scrive parole che possono applicarsi alla giovane poetessa nel suo complesso: “forte, dura, decisa, utilmente spietata, questa giovane poesia (ma adulta, ma ultimativa) porta i segni precisi del ‘fare’ (nel già disfatto regno): costruzione e astrazione, ‘nero di storie’, plurimi, urticanti animali e gli urgenti semi del niente persi per le tasche, mentre i sentori, i rumori del corpo gorgogliano bui, alti.” I versi della Biagini si mostrano con essenzialità e ruvidezza; brevi, affilati, ripuliti da ogni orpello mirano all’essenza delle cose, riducendo tutto all’osso, al nocciolo duro che non si può comprimere. Ne emerge una musicalità vibrante radicata nella parola e significante come un canto gregoriano, che tuttavia si impone con metafore stranianti, sinestesie, snodi di senso, improvvisi abbagli. La realtà delle cose si svela attraverso tagli di luce, suoni come scricchiolii nervosi o crac di rotture, sensazioni corporali e umorali. E se pure il corpo è tema frequente nell’opera della Biagini, questo si impone come specchio dell’esistenza, come modo per entrare, comprendere e mostrare il mondo reale. Si tratta, dunque, di una poesia radicata nell’esperienza quotidiana, che tuttavia trasfigura, assumendo un respiro universale. Scrive la poetessa a proposito della sua scrittura: “mi si chiede spesso perché io scriva poesia: scrivere è obbligarsi a riscoprire la realtà, a guardarla con occhi diversi e anche se si parla di dettagli all’apparenza privati (perché credo che sia onesto scrivere solo di ciò che si conosce) si racconta comunque dell’esperienza di tutti, del comune ‘male di vivere’. Scrivere è imparare a leggere il mondo, a sentire la vita nascosta delle cose: si deve avere occhi aperti sul reale e voglia di ‘reinventarsi’ ogni volta che ci si confronta con l’esterno.”

Elisa Biagini vive in Italia dopo aver studiato e insegnato negli Stati Uniti per vari anni. Sue poesie sono uscite su varie riviste e antologie italiane, americane e non solo (fra le più recenti la già citata “Nuovissima poesia italiana” e “Parola plurale”, Sossella, 2005). Ha pubblicato sei raccolte poetiche, alcune bilingui, fra cui “L’Ospite” (Einaudi, 2004) e “Fiato. Parole per musica” (Edizionidif, 2006). Una nuova raccolta, “Nel Bosco”, è uscita nel 2007 per Einaudi. Sue poesie sono tradotte in inglese, spagnolo, francese, portoghese, giapponese, croato, slovacco, tedesco, russo e arabo. È inoltre traduttrice di poesia americana, ha curato il volume “Nuovi poeti americani” (Einaudi, 2006), oltre ad alcune raccolte di poetesse americane contemporanee. Infine, insegna Scrittura Creativa (Poesia) in Italia e all’estero. Il suo sito web è www.elisabiagini.it. I testi pubblicati sono tratti dalla sequenza inedita “(Uncanny) bone”.

 







Un uovo rotto in gola

ad ogni passo,

latte di anni

che caglia dentro

al bricco,

odor di pane buio:



questo specchiarsi

mi pettina le ossa,



mi immarma

il respirare.







Tu mi trascini in

te e dal peso

la punta del

ginocchio riga

il legno:

quel ticchettar

di mestolo

segue il mio

polso e

sloga

l’occhio.







goccia del tuo osso

che scartavetra al tocco,



scintilla che accende

il nero dell’orecchio.







Queste tue mani

che adesso fanno

luce

mentre il resto

s’abbuia e si torce,



plastica nel fuoco.







Ti metto

la mano

sulla testa



cerco i

capelli-miccia



ma trovo

tua/mia pelle,

sfoglia di colla

che la tua traccia

tiene.







Osso di marmo,

spalla su cui

provare i denti



mentre ti sfuochi,

ti fai slabbrato

vedere, inciampi

nell’altro cordone

ombelicale.





(15 marzo 2010)

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