Emilia Romagna - Dal Rapporto annuale delle Consigliere di parità regionali emerge un miglioramento quali-quantitativo del lavoro delle donne, ma anche forti divari di genere
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2007
L’elaborazione dei questionari trasmessi da 973 aziende con più di 100 dipendenti - per un totale di 384.477 occupati, in adempimento alla Legge 125/91 art.9- ha costituito il Rapporto sulla situazione del personale femminile nelle aziende dell’Emilia-Romagna, presentato nei giorni scorsi dalle Consigliere di parità regionali.
Dai risultati emerge, seppur in misura modesta, un miglioramento quali-quantitativo con indicatori di criticità e di positività che confermano forti divari di genere soprattutto nelle posizioni dirigenziali.
Nel mercato del lavoro emiliano-romagnolo la componente femminile è quella più dinamica capace di raggiungere nel 2006 un tasso di occupazione pari al 61,5%, avvicinando la regione ai paesi del Nord Europa (Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia).
Il tasso di occupazione femminile più elevato (80%) è nella fascia di età 30-40 anni; gli effetti delle riforme previdenziali determinano un incremento particolarmente elevato nella fascia oltre i 50 anni.
Emerge inoltre che le donne hanno, rispetto agli uomini, vite professionali più “spezzettate” in relazione alla maggiore incidenza nella loro vita degli impegni di cura (figli o familiari non autosufficienti), indebolendo i requisiti per la pensione di anzianità.
Il part time è circoscritto al 24,3% delle lavoratrici, meno della media italiana (26,5%) ed europea (32,3%) e non sempre volontario.
Le donne sono più presenti nel terziario: alberghi e ristoranti, sanità e servizi, pubblica amministrazione e istruzione, commercio.
La distribuzione per qualifiche vede una forte concentrazione nella fascia impiegatizia (50,5% donne, 49.5% maschi); permane un gender gap per quanto riguarda la possibilità di carriera delle donne, anche per la difficoltà di conciliare vita professionale e lavoro di cura (dirigenti: 79,9% maschi, 20,1% femmine)
Il settore della sanità pubblica presenta, nella dirigenza, dati di quasi parità fra uomini e donne, confermando differenziali salariali fra uomini e donne in presenza di uguali mansioni.
Gi uomini ricevono più promozioni delle donne (6,9% maschi, 6% donne) e usufruiscono di più ore di formazione (28 ore pro-capite, a fronte delle 18 ore delle donne). Si registrano contratti di lavoro in prevalenza non standard con forte erosione dei lavori a tempo pieno.
L’analisi del Rapporto rappresenta solo una parte del tessuto produttivo ma non deve essere sottovalutata perchè questo strumento permette di verificare con trasparenza la situazione del personale, in particolare quello femminile, focalizzando l’attenzione verso la segregazione professionale orizzontale e verticale e i differenziali retributivi tra i lavoratori e le lavoratrici, consentendo agli addetti ai lavori di confrontarsi su tematiche molto spesso sottovalutate e tanto meno risolte, sensibilizzando la società/Istituzioni ai fini di una maggior diffusione culturale della parità tra i generi.
La trasparenza, l’attenzione alle risorse umane con le diverse specificità, l’abbattimento delle discriminazioni, il sostegno alla maternità, la conciliazione , sono elementi indispensabili per migliorare la qualità della vita delle persone e, se affrontate adeguatamente, possono accompagnare la competitività dell’impresa migliorando la stabilità.
E’ importante individuare le imprese che hanno la capacità di creare un buon clima aziendale, nel rispetto delle esigenze della pluralità dei soggetti, attraverso un sistema premiante che sia trainante nei confronti degli altri, mettendo in campo azioni positive indispensabili per rimuovere gli ostacoli da tempo monitorati e consentire il trasferimento di buone pratiche.
Un’impresa socialmente responsabile adotta uno stile che accresce il contributo positivo che già da alla società, mettendo in equilibrio gli obiettivi economici, quelli sociali e quelli ambientali.
L’adozione di comportamenti socialmente responsabili determina, alla fine, un incremento del valore complessivo dell’impresa, passando attraverso questi fattori. Una scelta che va al di là della legge perché essere socialmente responsabili significa andare oltre il rispetto della normativa vigente, investendo di più anche nel capitale umano.
Ciò si traduce nell'adozione, a livello economico e culturale, di una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi sociali e ambientali. La responsabilità sociale si configura quindi non come uno sforzo addizionale ma come un comportamento legato alla normale gestione d'impresa, premiandola se gestita in modo socialmente responsabile, acquisendo vantaggi competitivi, creando in azienda un ambiente migliore, più sicuro e motivante che investa nella diversità considerandola un valore aggiunto.
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