Martedi, 16/10/2012 - La mia generazione ci ha provato a sfondare la maschera della "bella, brava e buona" salendo su carri carnacialeschi irriverenti e imperfetti, vuoi per politica vuoi per talento vuoi per amore, e si è trovata, dopo, come una spiaggia a fine estate: ombrelloni chiusi e vento a riva che spazza cartacce: una cartolina malinconica senza destinatari.
La mia generazione ci ha provato per se stessa, perché essere felici è un'urgenza personale che sogna di diventare un'utopia collettiva quando la mancanza di parole ti soffoca.
Viene il tempo allora che non chiedi più il permesso di esistere.
Tanto meno scusa. E accade che se corri avanti inventi tempesta.
Siamo diventate tutto quello che non erano le nostre madri?
Siamo dovute diventare madri di figli e/o di idee per scoprire che la somiglianza ha radici più profonde e che spesso ci confonde dove dovremmo sostenerci per diventare uniche davvero, e salvarci forse, insieme, se è vero che qualcosa si muove.
Ci viene sempre chiesto di più: non è questione di "merito". Il "merito" che ci valuta è una categoria vuota che ogni volta riempiranno - loro - con parole diverse. E qualcuna di noi ci cascherà facendo proprio quel criterio: bla...bla... ..siamo tutti ....bla bla......uguali, senza capire che il Neutro è una finzione linguistica e il mondo così disegnato una figura retorica: nel Nome del Padre, del fratello e del figlio... a sforzarsi tanto nel nome, forse, dello Spirito santo ma mai della Madre o della sorella
Cara Laura Puppato, questa chiesa del femminile rincorre solo l'elettorato.
Una donna, tempo fa, si guadagnò il Premio Nobel per la Letteratura. Una vocazione resistente la sua, mai sostenuta se non da se stessa. Si chiamava Grazia Deledda, era sarda. Sapeva che il mondo cambia se la frase è sorretta da un punto e virgola e non da un punto, e allora dilatava i periodi e li incastrava in successioni di due punti da piano sequenza per rendere quel mondo così grande da trovarvi posto.
Una donna - tempo fa - scrisse capolavori narrativi con la presunzione dell'epica non della cronaca domestico-familiare, un gesto troppo ambizioso per essere accolto come "merito". Si chiamava Elsa Morante, e il sospetto che la si festeggi oggi per "merito" del suo legame matrimoniale è... piuttosto forte. Perché dell'altra cantatora del Novecento, Goliarda Sapienza, o di quella ineffabile poeta della lingua, Anna Banti, o delle prove di arditezza melodica di Amelia Rosselli non c'è Istituzione che tenti una cerimonia (meno male) ma nemmeno un'opera di diffusione di sana conoscenza.
Ci viene sempre chiesto di più. Inutile chiedersi cosa.
Questa è la realtà: affettiva, sociale, culturale, politica in cui... care bambine, antipatiche adolescenti ribelli o passive, diversamente adulte e variamente vecchie siamo destinate ad abitare.
Nessuna - visibile o invisibile - sarà mai abbastanza. Per "loro" e i loro criteri di dominanza.
Ma ognuna è "abbastanza di me" e sostenerla, e farla esistere, e pronunciare il suo Nome mi regala il Mondo.
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