“Occorre un dialogo interdisciplinare sulle modalità di costruzione del concetto di corpo e di genere” ha affermato Michela Fusaschi* in apertura del convegno “Nel nome del corpo” tenutosi venerdì 8 maggio nella capitale.
“Le libertà delle donne, conquistate nel corso del Novecento, hanno portato a un mutamento che ha ingenerato paura e reflussi di violenza” ha detto Cecilia D’Elia, Vice Presidente e Assessora alle Politiche Culturali della Provincia di Roma, che ha espresso sconcerto per il caso del suicidio di Nabruka Mimuni, donna tunisina di 44 anni, in Italia da quasi trenta, alla quale non era stato rinnovato il permesso di soggiorno.
“Il corpo delle donne da sempre rappresenta luogo di conflitto, e questo tema si intreccia profondamente con le questioni dei migranti e della sicurezza. Il caso Reggiani, in questo senso, ha rappresentato uno spartiacque. Oggi assistiamo ancora a tentativi di normare e controllare i corpi. Le donne in questo dibattito possono contribuire molto, perché pensano il corpo come legato alla soggettività e al tempo stesso alle relazioni. Credo che questa sia la sfida della democrazia di questo secolo” ha aggiunto D’Elia.
“Mai come oggi, nelle società del consumo il corpo viene lavorato, accessoriato, celebrato e, apparentemente, liberato da tutte quelle interdizioni morali che impedivano, fino a pochi decenni fa, di disporne per sé. Simmetricamente a tanta liberazione, questo stesso diritto di disporre del proprio corpo, sempre di più, è oggetto di un discorso politico, un “controllo regolatore” di foucaultiana memoria che, nei fatti, ne determina o meno usi e indirizzi, in relazione alle varie fasi della vita e della morte: dalla procreazione assistita al testamento biologico. In modo non dissimile le retoriche del “pacchetto sicurezza” associate all’immaginario del migrante “attentatore”, ancor più se musulmano, delle virtù civili degli italiani si confrontano con il dato delle aggressioni agli stranieri. In questo quadro anche le nuove normative “in difesa” delle donne, dallo stupro alle altre forme di violenze contrastano con l’assenza di riconoscimenti legali e sociali delle scelte degli orientamenti sessuali, delle nuove forme di famiglia. Il governo dei corpi si estende infatti oramai a molti campi del sociale e tende a ridisegnare insieme ai corpi anche un nuovo immaginario della morale.” Si legge sul programma della giornata.
Tra gli interventi, quello di Christine Détrez che ha analizzato con numerosi esempi il meccanismo di trasferimento e moltiplicazione di stereotipi legati al genere e ai ruoli, attraverso libri ed enciclopedie di argomento ‘scientifico’ in uso in Francia e rivolti a infanzia e adolescenza. Détrez ha dimostrato come sia ancora drammaticamente presente l’intenzione di rappresentare in un certo modo caratteristiche biologiche a giustificazione di ruoli sociali e politici. Tutto ciò ignorando il fatto che antropologia, storia e sociologia abbiano dimostrato che il corpo è una costruzione sociale.
La rappresentazione dei corpi e dei ruoli femminili è sempre e comunque associata a una dimensione di debolezza, di cura, di maternità, di passività, sia nelle copertine dei libri, nelle illustrazioni che nelle didascalie. Nelle tavole anatomiche, nella descrizione del funzionamento degli apparati, del cervello, dello scheletro, dei muscoli, del sistema riproduttivo, è quasi sempre rappresentato un maschio; laddove, nei rari casi sia associata un’immagine femminile, questo avviene esclusivamente su argomenti che riguardano la muscolatura involontaria, la passività, le ‘tempeste ormonali’, comportamenti sociali legati alla debolezza, addirittura attraverso abbinamenti fuori contesto quali l’accostamento di animali e oggetti in cui viene valorizzato il controllo maschile.
Sull’argomento della riproduzione, il lessico con cui si descrive la fecondazione è medievale, si parla di guerra, di spermatozoi uccisi nelle lunghe 24 ore per giungere alla meta, in cui uno e uno solo sarà l’eroe che penetrerà l’ovulo superando compiti difficilissimi. La vagina è descritta come luogo ostile e pericoloso, rappresentando ciò come verità scientifica ignorando l’interazione chimica di ovulo e spermatozoo; le parole violente, aggressive che descrivono lo spermatozoo nella sua conquista, sottolineano un aspetto di appropriazione dell’elemento femminile, troppo simile a una violenza sessuale, in cui lo spermatozoo viola l’ovulo, che è fermo e recettivo. Un falso scientifico, insomma, che ignora la compartecipazione dei due elementi, femminile e maschile. In questa ricerca non risultano differenze significative tra autori e autrici, disegnatori e disegnatrici. L’unica lieve differenza è che, in alcune autrici, si accenna al piacere sessuale femminile, cosa che negli autori maschi è rimossa del tutto, negata.
Continua a riprodursi la catena di stereotipi del maschio forte, muscoloso e che comanda rispetto a una donna che è portatrice di grazia, bellezza, eleganza e passività, una donna docile e sottomessa, conquistata e vinta.
Fin dall’infanzia, stiamo educando l’umanità ad aderire a modelli in cui la violenza è non solo prevedibile, ma addirittura giustificabile scientificamente dalla presunta naturalità degli eventi, dei ruoli, dei comportamenti.
L’aberrazione è che la cosiddetta biopolitica (intesa come governo del corpo) è incapace di distinguere il corpo stesso come “punto di convergenza tra la materialità bruta e l’immaterialità del pensiero” per dirla con le parole di Arturo Mazzarella, Presidente collegio didattico DAMS dell’Università Roma Tre “punto di convergenza generatore di paradossi e conflitti, come lo spossessamento del corpo nel tentativo di gestire immaterialmente ciò che invece è il fondamento dell’irriducibile della vita, il ‘nostro’, il ‘sé’”.
Interventi in programma:
C’era una volta il corpo: la costruzione biologica del genere, Christine Détrez, Ecole Normale Supérieure-Lettres et Sciences Humaines-Lyon
Questioni di genere nel rapporto tra coniugi secondo la shari'a, Deborah Scolart, Università di Tor Vergata
Dal corpo di genere al corpo culturale: il cinema itinerante di Chantal Akerman, Veronica Pravadelli, Università Roma Tre
Il genere, variabile trascurata, Salvatore Monni, Università Roma Tre
Nuovi razzismi generalisti: omofobia, violenza urbana e logiche di controllo Francesco Pompeo, Università Roma Tre
Il corpo del reato. La strumentalizzazione del corpo femminile nei dispositivi di sicurezza, Anna Simone, Università di Bari
“Magrire”: intorno al corpo con i richiedenti asilo, Silvia Cristofori, Università di Roma Sapienza
"Il corpo mio è diventato parte del freddo": esperienze in detenzione, Anna Matteocci, Università Roma Tre
I migranti come posta in gioco: corpo e usi biolegittimi, Andrea Priori, Università Roma Tre
*Michela Fusaschi, docente di Antropologia culturale e sociale al Dams, Dipartimento Studi Internazionali, Università Roma Tre, collabora l’Osservatorio sul Razzismo e le diversità “M.G.Favara”, con il Patrocinio dell’Aisea, Associazione Italiana per le Scienze etnoantropologiche; la Regione Lazio-Assessorato al Lavoro, alle Pari Opportunità e alle Politiche giovanili; la Provincia di Roma - la Vice Presidenza, Assessorato alle Politiche culturali.
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