Login Registrati
Nel mezzo del cammin...

Nel mezzo del cammin...

Biodiversità / 1 - La salvaguardia del nostro pianeta tra governi, interessi e spinte popolari

Angelucci Nadia Lunedi, 25/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010

Quando si parla di biodiversità generalmente ci si riferisce alla varietà e molteplicità delle specie viventi. Una sorta di affresco che raffigura le innumerevoli differenze che abitano il nostro pianeta.

Ma più che un quadro statico che mostra la ricchezza di questa pluralità dovremmo immaginarci un caos dinamico in cui tutto è in relazione con tutto. E soprattutto l'uomo con ciò che lo circonda. Questa relazione pone l'essere umano in una posizione predominante e, di conseguenza, implica una sua responsabilità nei confronti delle altre specie.

Lo studio delle molteplici forme viventi sulla Terra ha radici molto lontane nel tempo, ma negli ultimi anni questo tema ha acquistato una rilevanza mondiale dovendo l'umanità affrontare con urgenza il problema della perdita di biodiversità, seriamente minacciata dalla rapida diminuzione di molte specie animali e vegetali ormai ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo o, addirittura in via, di estinzione. E' difficile valutare la velocità con cui avviene questo processo, anche per la difficoltà di stimare il numero di specie attualmente presenti sulla terra, ma la comunità scientifica è d'accordo nell'affermare che il tasso attuale di estinzione è tra le 100 e le 1000 volte superiore a quello precedente la comparsa dell'uomo. Una delle principali minacce per la sopravvivenza di molte specie è l'alterazione, la perdita e la frammentazione dei loro habitat causata dai profondi cambiamenti del territorio condotti ad opera dell'uomo. Nell'ultimo secolo i maggiori cambiamenti dell'uso del suolo hanno riguardato l'aumento delle superfici per l'agricoltura e per l'allevamento, lo sviluppo delle aree urbane e commerciali, il massiccio disboscamento, l'ampliamento delle reti stradali e delle relative infrastrutture, la costruzione di impianti idroelettrici, lo sviluppo della rete idrica e delle opere idrauliche, la cementificazione dell'alveo dei fiumi, lo sfruttamento dei giacimenti del sottosuolo, la costruzione di infrastrutture. Anche la celebrazione dell'Anno Internazionale della Biodiversità non ha portato buone notizie su questo versante. Il terzo Rapporto della Convezione sulla Diversità Biologica, protocollo d’intesa risalente all’Earth Summit di Rio de Janeiro nel giugno 1992 e firmato ad oggi da 192 paesi e con il quale i capi di stato si sono accordati per promuovere una strategia globale per la conservazione della diversità biologica, l'uso sostenibile delle sue componenti e la giusta ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche, è infatti sconsolante. Malgrado l’accettazione, entro il 2010 e da parte di tutti gli stati firmatari, di un piano strategico per la riduzione di perdita di biodiversità, obiettivo approvato anche dal Vertice mondiale sullo Sviluppo sostenibile (il Summit "Rio+10") a Johannesburg nel 2002 e dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed incorporato tra gli obiettivi delineati nel Millennium Development Goals–Ensure Environmental Sustainability, i governi hanno fallito. Nessuna delle misure definite dal piano d'azione per il raggiungimento dell'Obiettivo Biodiversità 2010 è stata raggiunta in maniera definitiva: rischiano di scomparire dal pianeta il 21% dei mammiferi, il 30% degli anfibi, il 12% dei volatili, il 17% degli squali e il 27% dei coralli. Tutto ciò deriva da cinque fattori concomitanti: l'aumento di popolazione che ci porterà nel 2050 ad essere almeno 9 miliardi di persone, il sovrasfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di gas nocivi, lo spostamento di specie dai luoghi tradizionali e l’accelerazione dei cambiamenti climatici. E suonano stonate le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite quando afferma che “bisogna dare maggiore priorità alla tutela della biodiversità quando si adottano decisioni in tutti i settori della vita economica”. Dimostrazione evidente di come gli stati siano più interessati a salvaguardare i rapporti di forza economici piuttosto che la tutela dell'ambiente è il risultato della Conferenza Mondiale di Copenaghen sul Cambiamento Climatico (dicembre 2009): convocata per negoziare un nuovo trattato, in sostituzione del Protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012, per impegnare la comunità internazionale ad assumere misure in grado di bloccare il riscaldamento globale e per tentare di estendere gli obiettivi di Kyoto al 2020 o al 2050 impegnando in maniera vincolante anche quelle nazioni che non avevano aderito al Protocollo di Kyoto (come gli Stati Uniti) o che erano state esentate dai tagli alle emissioni di gas serra per non frenarne la crescita (come Cina, India, Brasile), la conferenza si è chiusa con un accordo al ribasso che non contiene nessun impegno quantitativo sui tagli di emissioni di Co2, né a medio né a lungo termine.

Molto differente è il cammino che stanno percorrendo i movimenti sociali e indigeni, organizzazioni non governative, attivisti e intellettuali riuniti nel Forum Sociale Mondiale, che nel 2011 compirà 10 anni, e che hanno messo al centro del loro agire e delle loro elaborazioni politiche ed economiche la difesa della Madre Terra. Una significativa vittoria dei movimenti è stata l'inclusione nei testi negoziali ufficiali della prossima Conferenza sul Cambiamento Climatico, che si terrà in Messico a Cancún tra novembre e dicembre, di molte delle proposte contenute nella Dichiarazione finale della Conferenza dei Popoli di Cochabamba, una sorta di Controvertice sul Clima svoltosi ad aprile in Bolivia e appoggiato dal governo boliviano di Evo Morales.

E la sorpresa e la speranza degli ultimi anni per il nostro biodiversissimo pianeta sta proprio nel ruolo crescente di pressione che stanno assumendo questi movimenti provenienti dal basso e dalla saldatura che si sta creando tra questi ed alcuni Governi, come quello boliviano, che è frutto della resistenza del movimento indigeno e allo stesso tempo generatore delle proposte a difesa dell'ambiente perché depositario di una cultura millenaria del 'buen vivir' armonica con la natura. Torniamo così alla relazione, alla responsabilità e all'equilibrio con cui avevamo iniziato questa riflessione; principi dimenticati che vanno riscoperti.





APPUNTAMENTI

10-17 ottobre: diverse reti europee hanno convocato mobilitazioni per la giustizia climatica.

12 ottobre: giornata d’azione diretta per la giustizia climatica.

29 novembre - 10 dicembre, Cancún - Messico, COP16, Summit sui cambiamenti climatici.





ESSERI VIVENTI

Dai batteri invisibili a occhio nudo alle piante, fino ai più grandi mammiferi, sono raccolti in circa 2 milioni di specie a oggi conosciute: Batteri 10.000; Funghi 72.000; Protisti 50.000; Piante 270.000. Le specie animali sono circa 1.318.000, di cui 1.265.000 invertebrati e 52.500 vertebrati (2.500 pesci, 9.800 uccelli, 8.000 rettili, 4960 anfibi, 4.640 mammiferi).





ITALIA BIODIVERSA

L'Italia è il Paese del vecchio continente più ricco di biodiversità con 57.468 specie animali e 12.000 specie floristiche (13.5%)





PER APPROFONDIRE

http://www.wupperinst.org/

http://www.cnms.it/

Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Guida al consumo critico, EMI, Bologna, 2008.

Serge Latouche, L'occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, 1992.

Serge Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2007.Jeremy Rifkin, Economia all'idrogeno. La creazione del Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla terra, Mondadori, 2002.

Jeremy Rifkin, Entropia. Le conseguenze dei principi entropici (scarsità di risorse e riscaldamento globale), Baldini&Castoldi, 2000.

Wolfgang Sachs, Dizionario dello sviluppo, Gruppo Abele, Torino, 1998.

Wolfgang Sachs (a cura di), Global Ecology. A new arena of political conflict, London, 1993.

Vandana Shiva, Terra Madre. Sopravvivere allo Sviluppo, UTET, 2002

Vandana Shiva, Monoculture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica, Bollati Boringhieri, 1995

Wuppertal Institute, Per una civiltà capace di futuro, EMI, Bologna, 1996.

Wuppertal Institute, Futuro sostenibile. Riconversione ecologica, Nord-Sud, Nuovi stili di vita, EMI, Bologna,1997.





Le Costituzioni che pensano alla natura

Nel 2008 e nel 2009 Ecuador ed Bolivia hanno approvato due nuovi testi costituzionali, redatti con la partecipazione di organizzazioni di base, movimenti indigeni e popolari, che riconoscono l'ambiente e i beni comuni come soggetti di diritto. Alla base delle due Carte il concetto di 'sumak kawsay', 'suma qamaña', 'buen vivir'. Questo principio presuppone una stretta relazione con la natura, con la terra, con gli animali, con la vita nelle comunità e sancisce l'equilibrio con tutte le forme viventi e con il mondo spirituale. Il 'buon vivir', al contrario del benessere che viene messo al centro nelle società occidentali e che si basa sull'utilizzo delle risorse naturali per produrre beni di consumo, incorpora una molteplicità di elementi che fanno parte della cosmovisione dei popoli indigeni in cui, nella relazione tra l'uomo e la natura, viene recuperata la dimensione etica e spirituale dei rapporti tra tutte le creature del pianeta.





IMPRONTA ECOLOGICA

È un metodo di misurazione che indica quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un paese o dall'intera umanità per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera.

Il metodo dell'impronta ecologica per misurare l'impatto pro capite sull’ambiente è stato elaborato nella prima metà degli anni '90 dall'ecologo William Rees della British Columbia University e poi approfondito da Mathis Wackernagel, oggi direttore dell'Ecological Footprint Network.

Secondo i calcoli più recenti l'impronta ecologica dell'umanità è di 2,2 ettari globali pro capite, mentre quella dell'Italia è di 4,2 ettari. I paesi con oltre un milione di abitanti con l’impronta ecologica più vasta calcolata su un ettaro globale a persona, sono gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti d'America, la Finlandia, il Canada, il Kuwait, l’Australia, l’Estonia, la Svezia, la Nuova Zelanda e la Norvegia. La Cina si pone a metà nella classifica mondiale, al 69° posto, ma la sua crescita economica e il rapido sviluppo economico che la caratterizza giocheranno un ruolo chiave nell’uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro. É evidente che i paesi più ricchi, con un maggior consumo di beni ed energia, hanno un'impronta ecologica maggiore e sono i principali responsabili del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità.

Se tutti gli esseri umani avessero un'impronta ecologica pari a quella degli abitanti dei paesi 'sviluppati' non basterebbe l'attuale pianeta per sostenerla: nel 2050, se continuerà l’attuale ritmo di consumo di acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali tra cui le risorse ittiche, ci vorranno due pianeti.

Fonte: WWF Italia



(25 ottobre 2010)



 

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®