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Nate negli anni Settanta

Nate negli anni Settanta

Cultura/ Poesia - “Generazione decisiva”, come l’ha definita Giuliano Ladolfi, è quella dei poeti nati negli anni Settanta, capace di rinnovare il linguaggio

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005

Il numero delle poetesse incluse nelle antologie e nelle letterature è di gran lunga inferiore a quello dei colleghi maschi. Per una serie di motivi, culturali e sociali ma quasi mai letterari, le donne sono discriminate nell’esercizio della poesia. La reazione a tale discriminazione è stata la costituzione della categoria di poesia femminile, che oltre a non basarsi su criteri epistemologici condivisibili, si risolve in un’ulteriore ghettizzazione fondata sull’essere donna. Scopo di queste pagine, è forse il caso di ricordarlo, non è quello di condividere l’esistenza di una poesia femminile, ma di presentare voci di donne, mostrando quanto elevato sia il numero delle poetesse meritevoli di entrare nei canoni ufficiali. In altre parole si vuole dare risposta a chi sostiene che in fondo di donne “brave” in poesia ce ne sono poche.
Quanto detto sembra coinvolgere in minor grado le ultime generazioni, dove l’elemento femminile pare aver acquisito una maggiore rilevanza e consapevolezza rispetto al passato. Uno dei fenomeni più evidenti nel panorama letterario di questo inizio millennio è la storicizzazione in termini di maturità creativa ed editoriale di una generazione, quella dei poeti nati negli anni ’70. Questo fenomeno si è sviluppato attorno al lavoro di riviste letterarie a partire dalla fine degli anni ‘90 (da ricordare almeno Atelier nata nel 1996) e ha trovato espressione principale nelle antologie: mai prima di oggi l’antologia si rivela essere strumento fondamentale nel segnare le tappe di un fenomeno letterario rispetto alle opere dei singoli. Basti pensare che dal 1999 ad oggi il numero di antologie dedicate a questa generazione di poeti supera la decina. Parte della critica tuttavia ha contestato la possibilità stessa di storicizzare e quindi valutare una generazione così giovane, criticando la proliferazione di antologie dal dubbio valore e mettendo in discussione gli elementi poetici che dovrebbero costituire una frattura con il passato. Al di là delle polemiche è un fatto incontestabile il numero di opere, saggi e antologie dedicate a questi poeti. Di queste ultime si possono ricordare: Lavori di Scavo (on line, 1999) che comprende Tiziana Cera Rosco, Isabella Leaerdini e Vanessa Sorrentino; L’Opera Comune (Atelier 1999) che antologizza Elisa Biagini, Laura Pugno; I poeti di vent’anni (Stampa, 2000) che include Elisa Biagini, Stefania Buiat, Silvia Caratti, Roberta Castaldi, Francesca Moccia, Barbara Pietrosi e Silvia Vecchini; I cercatori d'oro (La nuova Agape, 2000) che include Francesca Serragnoli; Nuovissima poesia italiana (Mondatori, 2004) con testi di Elisa Biagini, Silvia Caratti, Anila Hanxhari, Lucrezia Lerro, Francesca Moccia, Barbara Pietroni e Francesca Serragnoli; Nodo sottile 4 (Crocetti, 2005) che antologizza Caterina Bigazzi, Marta Cantalamessa, Franca Mancinelli, Renata Morresi e Novella Torre; e infine Samiszdat (Castelvecchi, 2005) che include testi di Claudia Siverino. Nelle 7 antologie citate, su 62 autori ben 20 sono donne: un numero notevole che fa sperare ad una inversione di tendenza rispetto ai canoni novecenteschi al maschile.

TESTI

Elisa Biagini (da L’ospite)

Quando scopri quei tagli lunghi,
fogli di carta o fili d’erba
che basta un solo tocco
ed è già sangue:
le tue parole
dritte ai punti morti
ai luoghi in ombra
sottili e silenziose come aghi,

mi trovo ricoperta
e non sapevo.




Silvia Caratti (da La trama dei metalli)

Io non sto bene.
Non sto per niente bene.
C’è qualcosa nell’aria che finirà con l’uccidermi.

Si dice in giro che sia una persona
e dica il nome mio come una preghiera.
Che abbia una trama stretta
di metallica apparenza
e un sorriso infantile
e una mano già alzata.




Francesca Moccia (dall’antologia Nuovissima poesia italiana)

Traduco dall’infanzia
avverto lo sparire, provo a non fare rumore.
Occupo la vita, tra la folla c’è odore d’accusa
quella gioia che avrei voluto sulle labbra
rovescia ancora roba nel subbuglio.
Comincio ad avvertire il freddo, la
mente abbraccia i topi.
In un posteggio urto un vecchio, mi
riconosce, so chi è discutiamo.
Raggomitola la sciarpa, ritorna confuso
“Bada al cuore vizialo senza fretta.”
Il cancello pestato dal tempo
dietro l’ingresso era venuto a prenderlo
la scala, le finestre, fermò i ricordi
ordinò le idee.
Echeggia nella casa la voce.
Il cielo incredibile in bruma l’androne
falsa l’aspetto.
Lampioni radi svelano la strada.
L’anima del giorno si separa, ne parlano i
libri.
Mormora alla pagina le speranze.
Seda la voce con preghiere di ricordi
inebriato nell’insonnia. .




Barbara Pietroni (dall’antologia Nuovissima poesia italiana)

ecco, tornerò a fare inchieste
sulle gengive, sulle pareti deformi
che attraversano i nostri confini
-mi tocco la pelle: verificare-
amati, belli e rispettati
tatuati sugli occhi dei neonati
fuori dalle braccia che bruciano latte
mi dirigo tra i nonbelli
immersi nelle vasche di cloruro
che si chiudono di notte
e s’accendono di giorno
in una stanza sui binari qualcuno calpesta
donne più belle di quel paio di scarpe
che ho visto oggi in vetrina
ogni mattina togliendo –ginocchia al vento-
parti di un sé che sta sotto per forza
per sopravvivere la prepotenza
per vivere un po’ come si può
e poi sulle città prescelte da qualche parte
qualche cannone rade al suolo la gente
perché per amore di tanti
bisogna odiare qualcuno.




Francesca Serragnoli (da Il fianco dove appoggiare un figlio)

Ci si sopporta come angoli di lutto
premonizioni
che la faccia più rotonda
ci avvolga nella rete
case in vendita
con maniglie dorate e ditate.

I tuoi occhi
sono sbarre di ferro
dove poso braccia impolverate.

Avrà colore
questo buio salato
questo mare che farfuglia in bocca? .




Tiziana Cera Rosca (dall’antologia Lavori di scavo)

TORACE

Ditemi se il suo nome
articolava le falangi degli uccelli
se copulava teso tra le carni
se gli inginocchiatoi nelle pietre dei tempi
hanno il calco chiaro dei suoi arti.
Ditemi se in volto radunava
gli occhi cacciati da ogni messa – gli a me promessi-
e se il segno d’unzione sulla fronte
lucidava a gocce l’inguine eretto.
Ditemi se è precipitato nei buchi delle sue mani
se ha tolto destino al palmo delle linee
e più non mi legge
se ad Emmaus superstite si è spezzato
azzimo e magro come un giuda
o se dal diaframma era più roco il legno della mia nominazione.

Se le vedete –se lo vedete-
ditegli che ho battuto alla cerca ogni ostia
femmina fessurata e circoncisa
che lo porto nel bisturi
che questo taglio era un grembo
e dalla vulva mi lacerava fino alla gola.
Ditegli che i capelli sono caduti come sterpi
e come serpi scolano le mie caviglie
che più di tutto mi mancano i baci dei congiunti
quelli col fiato dentro
dello stesso sangue, i giusti
che li rivoglio chiamati e cantati alla mia fronte.
Ditegli – vi prego- che non lo toccherò
nessuna impronta
che me ne starò ingoiata
denocciolata come la primizia al dio.

Che dei miei seni farò punta dura
a lui intaglierò l’incudine esatta
e mi forerà come un ciondolo
ed io appesa al suo collo di funi
- finalmente appesa e portata -
sarò un bavo
che odora di tutte le erbe della terra.


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