Sondaggio di novembre - Fare doni a Natale rappresenta, per il 48% di chi ha risposto, una bella tradizione...
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
Fare doni a Natale rappresenta, per il 48% di chi ha risposto, una bella tradizione, un’occasione per manifestare alle persone care il proprio affetto. Nessuno o quasi (0%) rinuncia a causa della grande confusione che si registra durante le feste e la conseguente fatica, contro un 7% che vive ciò come una piacevole incombenza, ed anche un’occasione di svago.
Per il 24% rappresenta una consuetudine, talvolta un obbligo, al quale non è possibile sottrarsi, sempre per il 21% emerge un rifiuto totale all’idea di coinvolgimento nell’orgia consumistica.
Abitualmente il regalo viene scelto tenendo conto principalmente dei gusti di chi lo riceverà, del budget a disposizione, dell’utilità e dei propri gusti personali; e queste opzioni,variamente combinate, rientrano nella maggior parte delle risposte ricevute. Età, preferenze, background culturale e sociale di chi riceverà, influenzano variamente la scelta, a meno che si decida a priori di regalare libri per “diffondere cultura”.
L’obiettivo è quello che la persona che riceve il dono “si ricordi di me”, “che capisca che hai pensato a lei/lui” non tanto in termini economici ma sentimentali, magari anche “facendo qualcosa creata direttamente con le proprie mani”.
Molte delle risposte evidenziano l’importanza di non mettere in imbarazzo chi lo riceverà, ed anche di “esprimere se stessi”.
C’è anche chi afferma che si debba optare per prodotti che nella filiera di produzione rispettano i diritti umani ed ambientali, e chi sottolinea come nelle scelte d’acquisto oggi si possa fare “più politica che non in un Parlamento”.
Le proposte natalizie legate a progetti di solidarietà appaiono apprezzate da parte di chi ha risposto. Fermo restando che molti dei commenti affermano che “non ci si debba ricordare della solidarietà solo a Natale”, molti gli esempi riportati: dalle adozioni a distanza, al commercio equo e solidale, i biglietti dell’Unicef, il sostegno allo studio di bambine e donne, le proposte di differenti ONG o associazioni locali.
Perché “acquistare questi oggetti porta al miglioramento della vita di donne e uomini di paesi dove vivere non appare essere un diritto”, o semplicemente perché tale scelta ci “trasforma in sensibilizzatori/sensibilizzatici a largo raggio”. Molti i suggerimenti a non acquistare prodotti, anche a basso costo, che provengono da sistemi non rispettosi dei diritti umani.
La sobrietà appare un sentimento diffuso nelle risposte: in materia di consumi dovremmo “imparare a riflettere quanto è utile ciò che compriamo”, “sprecare meno”, “essere più oculati e privilegiare i prodotti riciclabili, non inquinanti”, “esercitare un maggior controllo critico, insegnando anche a bambini e bambini che non si è migliori se si possiede quell’oggetto invece di un altro”, ascoltare i desideri “non indotti”, “cambiare in ostri comportamenti”. In poche parole dovremmo “smettere di comprare ciò che non ci serve”, complessivamente “darci una calmata e smettere di rincorrere le mode più imbecilli” o addirittura fare una vera e propria “opera di risanamento del nostro cervello”.
Quello che emerge dal sondaggio è che il consumo non è un esercizio ordinario o banale, a cui non sia necessario destinare particolari attenzioni.
L’atto di consumare non è solo un fatto privato che riguarda quindi solo se stessi, i propri gusti, il proprio portafoglio o solo il diritto, come consumatori e consumatrici, a non essere ingiustamente imbrogliate/i. Nell’era globale riguarda l’intera umanità, gli equilibri, lo sfruttamento. Perché dietro a questo gesto più o meno spontaneo, vissuto come mera consuetudine del proprio quotidiano, si nascondono problemi di natura planetaria e sociale, politica ed ambientale che nessuno può più permettersi di ignorare.
Secondo un’indagine di mercato (GPF & Associati, 2003), 14 milioni di italiani (il 31%) hanno dichiarato di “aver rinunciato nel corso dei primi sei mesi dell’anno precedente ad acquistare un prodotto o servizio o marca per motivi etici”. Ben il 21% in più rispetto ad una analoga analisi effettuata nell’anno precedente. Per "prodotti non etici" si intendono "prodotti o marche di una multinazionale che sfrutta i lavoratori", "prodotti sperimentati sugli animali", "prodotti di azienda poco sensibile all'ambiente", "prodotti di azienda che non rispetta i diritti umani", "prodotti o marche di cui viene fatta una pubblicità maschilista". Non sappiamo se le forme di maggiore attenzione negli acquisti o un vero e proprio boicottaggio servano di più ad educare i consumatori o a redimere le aziende. Comunque sia, riteniamo giusto farlo.
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Consumare criticamente...
... significa consumare in maniera consapevole e responsabile, scegliendo quanto e cosa acquistare non solo in base al prezzo e alla qualità del prodotto, ma anche in base alle sue implicazioni globali: quanto inquina, quante e quali risorse naturali sono state utilizzate per produrlo o trasportarlo, rispetto al comportamento dell’azienda che lo produce o lo commercializza (rispetto delle leggi, rispetto dei diritti umani, rispetto dei diritti sindacali, rispetto dell’ambiente e degli animali, rispetto alla trasparenza dell’operato in relazione ad es a regimi oppressivi o alla guerra) al fine di ottenere dalle imprese un comportamento più attento ai diritti umani e sociali e all’ambiente.
Il “consumatore critico” fa la spesa essendo consapevole delle implicazioni globali della sua scelta e sentendosi responsabile dei destini del pianeta e degli esseri che lo abitano, almeno nella misura in cui incide su di essi e può contribuire a modificarli.
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