Lunedi, 12/04/2010 - Legami tra mafie e classe dirigente: non basta dire basta
Tre anni senza elezioni, non saranno tre anni senza politica: se ne farà molta e, che gli elettori lo sappiano o no, verranno spostate risorse, verranno cambiate molte regole.
Tra le regole, alcune, devono cambiare, almeno nelle regioni, per porre fine all’ormai farsesca preponderanza maschile nelle loro assemblee.
È ormai evidente che, in costanza del sistema nazionale che fa eleggere “per investitura dei vertici” i propri rappresentanti, senza correttivi nelle leggi regionali l’Italia resterà il paese che più esclude le donne dal diritto a governare. Il risultato della Campania che passa da una a 14 elette, non ha bisogno di altri commenti: le parziali e perfettibilissime norme per la rappresentanza di genere hanno funzionato.
Questo andava detto, perchè la Camera delle Donne si è assunta il compito di far rispettare almeno la legge, di evitare che venisse nascosta nell’intento di dimostrare che “in Italia non ci sono le condizioni” per superare il maschilismo nelle Istituzioni, o peggio che in Italia le donne non sono capaci.
Tutti hanno nascosto e dissimulato la legge, ed a pubblicizzarla siamo state noi, la Consulta femminile regionale e la commissione di pari opportunità.
Questo è un segno, della misoginia, ma non della sua natura e qualità. La misoginia comprende molti problemi, ma non li spiega. Per chi come noi vuole cambiare la politica si tratta di aprire una discussione impietosa e faticosa su cosa muove e genera la classe dirigente del nostro paese.
Il movimento delle donne a Napoli ha analizzato più volte e pubblicamente il legame stretto profondissimo tra criminalità organizzata e violenze contro le donne.
Sono queste le espressioni costanti di un potere che non ha bisogno di investiture, perché attraverso la minaccia e la rapina condiziona la convivenza.
Di fronte a questo, come per il femminicidio e la violenza, la politica indica una prospettiva di ordine pubblico, dove la caccia al “mostro” è la soluzione più comoda.
Il movimento delle donne ha avuto la capacità di costruire tra le donne la consapevolezza della dimensione politica strutturale delle violenze subite. Lo ha fatto svelando che gli stessi uomini che avrebbero dovuto contrastare politicamente i delitti contro le loro persone, erano gli stessi che incarnano il diritto di proprietà sulle donne e sui loro figli.
Le collusioni tra mafie e poteri forti vengono ormai considerate una norma da tenere in dimensioni “non scandalose”, fermandosi ad aspetti puramente giudiziari. Come per le violenze, le leggi contro le mafie, sono fatte, soprattutto gestite, in direzione di un ordine che non intacca il sistema delle prepotenze. In fondo la prepotenza, sotto forma plebiscitaria, ha sdoganato più di una forma di ineguaglianza tra governati e governanti.
Guardare dentro la mafiosità del potere, senza fermarci alla pura denuncia, e costruendo la cacciata politica dei violenti e dei mafiosi dalle istituzioni, è la prospettiva nella quale vogliamo disegnare il primo grado dei nostri 360 di sguardo sulla politica.
Ci siamo nominate Camera della donne, perché sappiamo che quando i vertici istituzionali sono corrotti, gran parte del lavoro spetta alle donne che sono “fuori”. E sono donne sanno lavorare con le donne “dentro”, nonostante i capi.
Sono invitate tutte le donne e le associazioni a cui non basta più dire “BASTA”
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