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Nadiezhda Mandelstam e l’antifascismo

Nadiezhda Mandelstam e l’antifascismo

Moglie del poeta acmeista Osip Mandel'štam, Nadiezhda Mandelstam fu, come lui, vittima delle Grandi purghe staliniane che la costrinsero all'esilio dall'Unione Sovietica

Venerdi, 21/07/2023 -

Non è la devota suddita del marito, anche se si è fatto molto per farla apparire tale. Infatti, se sono femminista e ho avuto la fortuna di avere per compagno uno di quegli uomini che la storia definisce eccezionali, non so perché dovrei essergli subalterna: lo ammiro e lo aiuto non perché gli è dovuto dal fatto che sono sua moglie. Questione di libertà di lui e di lei. E, in questo caso, delle circostanze.

I miei genitori non erano famosi, ma mio babbo scelse di essere contro il fascismo, scelse di non fare carriera e vivere da precario licenziabile perché non iscritto: rimase coerente e libero e la mamma aveva scelto di condividere una vita ben diversa dalle aspettative adolescenziali, non ebbe mai una pelliccia, ma quando il babbo portava a casa la stampa clandestina, lei ne portava in giro qualche copia, poi insieme andavano al cinema tenendomi per mano. Erano sicuri delle proprie convinzioni. Dall’inizio erano contro.

Chi aveva invece, anche marginalmente, da intellettuale, creduto alla rivoluzione, quando Stalin, succeduto a Lenin, porta l’Urss alla fame per la collettivizzazione forzata della produzione, scopre che non era così che doveva andare. Il poeta non sopporta, i suoi versi sono sferzanti, giudicano il despota.

Nadiezda aveva sposato Osip Mandel'štam, un poeta, anticonformista, aveva aderito agli inizi al movimento bolscevico, poi divenne critico di Stalin, succeduto a Lenin, che aveva ridotto alla fame il paese con la collettivizzazione forzata. La Pravda condanna e accusa. Nadiezda non accetta l’accusa che sono “nemici del popolo” quelli che si ribellano e non è tenera con i veri “traditori del popolo”, quelli che tacciono, non si ribellano ai soprusi, sono complici. Il poeta è intervenuto attaccando Stalin, viene richiamato, ma evita ancora il peggio. Nadiezda non esclude l’autocritica: “Ciechi come eravamo, abbiamo combattuto per l’unanimità delle idee, perché in ogni dissenso, in ogni posizione contraria, sentivamo di nuovo puzza di anarchia e possibile caos. Noi stessi con il nostro silenzio o con l’approvazione esplicita, abbiamo usato un potere forte a diventare sempre più forte e a difendersi dai denigratori: da una guardarobiera, da un poeta o da un chiaccherone”. E ancora: “Tacevamo tutti, nella speranza che non uccidessero noi, ma il nostro vicino”.

L’antifascismo degli anni della Marcia su Roma l’ho conosciuto da mio padre che era, però, attento a cogliere le differenze del totalitarismo sovietico o il pinochettismo cileno: le dittature hanno tutte il loro dato specifico e la loro origine. Oggi non sentiamo oppressione da un governo che non corrisponde alle esigenze attuali del paese e che gode del 30 % dei consensi, mentre cinque anni fa era fermo al 4,35. Lo stesso “clima percepito” sta in altri paesi d’Europa ed è concreto il rischio che l’Europa salvi la sua unità in quanto cassa di risparmio per i default che possono toccare a tutti. Ma c’è bisogno di antifascismo culturale, a partire dal minimo della buona educazione. Basta guardare i giovanissimi, tendenzialmente non più, come una volta “ribelli” e “disobbedienti”, ma violenti e ignari di sé. Non vorrei mai che qualche donna della giovane generazione dovesse imparare a memoria le poesie di un periodo governato dalla regressione, come faceva Nadiezda con quelle del perseguitato marito che non lasciava tracce scritte del suo pensiero. Uscita dagli anni dello stalinismo, che nel 1938 aveva ucciso Osip, morto nel campo di transito di Vtoraja Rečka, Nadiezda poteva dire orgogliosamente dei testi salvati e di quelli usciti dalla memoria d’amore “Io sola potevo salvarli, e valeva la pena risparmiare le forze per farlo”.


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