Teatro Officina di Milano - ‘Democrazia’, contro il pensiero unico e dominante. Uno spettacolo teatrale affida alle donne la possibilità di uscire dalla passività. Emanuela Villagrossi, in una doppia parte, è sensibile e umanissima
Cristina Carpinelli Martedi, 27/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012
Al centro due sorelle che, in un vorticoso processo che mai si ferma, tra una narrazione dove “passato e presente ”, “ragione e sentimento” si mescolano in uno scambio continuo di ruoli, tentano di trovare il bandolo dell’intricata matassa delle loro esistenze, per liberarsi da un sentimento di angoscia che nasce sostanzialmente dalla difficoltà di “rendere comprensibili” l’una all’altra percorsi di vita tanto diversi da allontanarle.
Si rivedono dopo lunghi anni di silenzio, per volontà di una delle due sorelle. S’intreccia tra loro un confronto serrato, denso di sentimenti contrastanti che nutrono per il loro passato e di pensieri divergenti sulle scelte per il futuro. Superare antichi (e presenti) conflitti appare subito un’impresa ardua, poiché richiede ad entrambe di provare a “reinterpretare” le loro opposte esperienze, assumendo un altro punto di vista che consenta loro di superare l’inconciliabile.
Lo scioglimento delle contraddizioni è un processo dialettico esigente. Le esperienze umane sono attraversate da molteplici alienazioni (fra etica e politica, libertà ed ordine, libertà individuali e collettive, ecc.). Le due sorelle riportano in luce, nel dispiegarsi del loro incontro, la difficoltà drammaticamente umana di trascendere la singola identità “concreta” (in quanto storicamente resa e determinata) per aderire ad un progetto più grande e superiore: quello di prendere decisioni in modo collettivo per il bene comune.
Purtroppo, il conflitto tra Lia e Rachele non si sviluppa come agente di trasformazione, non si tramuta in fatto dialettico, in grado cioè di superare lo scontro e la rottura di chi punta alla disintegrazione violenta e distruttiva e di chi chiede un’integrazione che equivarrebbe ad una totale assimilazione. Il conflitto - motore dell’azione tesa a ridare unità a ciò che è stato diviso - non prende il sopravvento sulla contraddizione, nella quale le parti rimangono condannate all’immobilità, rinchiuse in un “tutto” o “niente”.
“Democrazia” - di Andrea Balzola in scena al Teatro Officina di Milano con la regia Maria Arena - è la rappresentazione in chiave metaforica di una, appunto, democrazia “incompiuta” (…) che vive la contraddizione sempre più forte tra trasformazione e arretratezza, tra volontà di rinnovamento e di trasparenza che lottano ma anche si mescolano con conservazione, trasformismo e omertà sulle trame più oscure del nostro recente passato. Lia e Rachele rappresentano polarità di simmetrici conflitti (tradizione versus modernità, memoria versus oblio, ecc.), proiettati in una dimensione storica, entro cui si dibatte la nostra travagliata democrazia.
L’azione scenica si snoda entro un contesto di passaggio da una società agricola, autarchica e patriarcale ad una industriale e post-industriale. Lia e Rachele hanno vissuto quella “trasformazione antropologica” della società italiana, passando attraverso una dittatura fascista, una guerra fratricida e il travaglio della nascita di una democrazia. Sono nate da una famiglia contadina povera che viveva su una terra ricca. Provengono da un mondo statico, sempre uguale a se stesso, con un calendario senza ore e un orizzonte irraggiungibile. Proprio dentro quello spazio angusto si consumano le prime antitesi: Lia sogna la città, la scuola (dove s’impara a non essere contadini), le fabbriche e vuole diventare una cassiera, con lo smalto rosso sulle lunghe unghie, mentre la madre ha sempre le unghie sporche e spezzate. Ama lo zio Luciano, che fa l’operaio in una fabbrica d’automobili in città e che è un partigiano. Rachele adora, invece, il nonno, che la prende sulle spalle per farle vedere l’uomo “che parlava in nome di tutto il popolo” (Cosa dice nonno? “Quello che è giusto e quello che è sbagliato”) ed ammira il padre che con la sua “divisa” appena stirata dice a lei e ai suoi fratelli: Siamo un grande paese adesso che abbiamo uno che ci sa guidare, e si fa rispettare.
Inizia la guerra, con i suoi bombardamenti, stragi, rappresaglie, e con il suo incubo delle violenze e degli stupri, l’altra faccia della “guerra al femminile”. Lia si trasferisce in città e lavora come commessa. Cerca lo zio Luciano, scomparso all’improvviso, e per questo è pedinata dalla polizia politica. Una sera, nell’androne di un portone, viene stuprata da un camerata che diventa il suo primo amante (Mi prese nelle mie grida e nel mio sangue. Fingeva di violentarmi ogni volta che facevamo l’amore, solo così riusciva ad eccitarsi veramente. Ero la sua preda, la sua prigioniera. (…) Era quello l’amore?). Rachele resta in campagna. Un ragazzo sfollato dalla città la mette incinta e la sposa. Naturalmente in chiesa. Da quel momento, Rachele non vede più la sorella (Fu una grande festa…mancavano solo mio padre, lo zio Luciano..., e mia sorella).
Trascorrono gli anni. Lia vive ancora in città. Anche Rachele si è trasferita nella metropoli. Abita in un appartamento e ha tre figli. Un giorno Rachele contatta la sorella. Nel corso della telefonata emergono memorie d’infanzia. Rachele cerca, invano, di ricucire lontane crepe. Si ripresenta la distanza incolmabile delle due donne: Rachele, moglie e madre, vagheggia nostalgicamente un passato familiare fatto di “eroi” (…lo zio è stato un grand’uomo, un eroe. Come il babbo d’altronde, anche se sul fronte opposto). Lia, ora affermata imprenditrice, rimarca la distanza (Abbiamo così tanti “eroi” in famiglia? (…) Io pensavo che gli eroi stessero da una parte sola, dall’altra ci sono quelli che sono morti e hanno ucciso per errore, ignoranza, paura, malvagità. (...) Io ricordo soltanto la distanza che ha separato mio padre e suo fratello Luciano, perché è in quella distanza che loro sono vissuti, è di quella distanza che sono morti). Di nuovo, Rachele (Sono tutte morti sbagliate, e irrimediabili). Lia ribatte: è stata una guerra di odio civile, che non si è fermata, che si presenta anche oggi in modo “più sopportabile”. Normale. È diventata più “educata”, con il nostro consenso quotidiano e la nostra spontanea indifferenza…”
Due anime in perenne tensione. Una ripiegata su una visione onirica del passato, “immemore” delle miserie e brutture che appartengono a società pre-industriali dal dominio maschile assoluto. L’altra che “non dimentica”(Io ricordo soltanto la distanza che mi ha sempre separata da voi, perché io sono quella distanza): odia la terra, nega le sue radici contadine, s’immerge con cinica accettazione nel crudo presente e guarda sprezzante al futuro. Nella loro ambivalenza, Lia e Rachele mostrano le due facce di una stessa medaglia, sono le portatrici di una ferita forse insanabile, la stessa da cui è nata la nostra Democrazia.
Il finale è “amaro”. Tuttavia, la pièce teatrale è un monito, attualissimo, contro il pensiero unico e dominante. La democrazia incarna la dialettica, è “arte” del dialogare, del riunire insieme. A questo scopo, il contributo delle donne nella costruzione della democrazia è fondamentale. Il loro percorso, storicamente assoggettate al padre prima e al marito poi, ha costituito uno scatto in più verso l’affermazione della libertà. Ha significato lottare per costruire la democrazia con la coscienza del proprio essere. Nell’epoca presente, di fronte all’indebolimento, se non alla scomparsa, delle mediazioni, le donne possono dimostrare che è possibile uscire da una posizione passiva davanti alla sofferenza e all’esclusione. Possono essere portatrici di pace e di costruzione di una “dimora” in cui abitare tutti insieme. Hannah Arendt direbbe un mondo comune, una forma del convivere fondata sul rispetto e sul riconoscimento dell’altro, che sono i principi base della democrazia.
Le ultime parole le riservo per ringraziare l’attrice Emanuela Villagrossi, sensibile, umanissima, che con grande capacità espressiva e competenza ha interpretato i due personaggi, dialogando con se stessa, grazie all’uso sulla scena della tecnologia multimediale.
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