Login Registrati
Muyeye

Muyeye

A tutto schermo - In Africa, come altrove, la follia può diventare risorsa. Juliane Biasi, regista del bel documentario andato in onda su Doc3, racconta il suo lavoro

Colla Elisabetta Lunedi, 24/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2011

I lineamenti delicati, gli occhi chiari e l’aspetto etereo di Juliane Biasi, autrice, regista e produttrice altoatesina, potrebbero fuorviare rispetto ad una personalità complessa, determinata ed avventurosa che emerge invece prepotente dalle sue parole e dal suo raccontarsi. Fra le sue ultime opere, firmate insieme al giornalista e documentarista Sergio Damiani, c’è Muyeye, un documentario sulla follia e sull'Africa prodotto dalla Kuraj Film (da lei fondata) in coproduzione con Format (Centro di Audiovisivi della Provincia Autonoma di Trento), che dimostra come anche i "matti" possano cambiare il mondo. Nato da un’idea progettuale dell’Associazione “Itake” (Italia-Kenya) e realizzato dall’Associazione “Le Parole Ritrovate”, il documentario è stato presentato alla Casa del Cinema di Roma e mandato in onda su “Doc 3”, la trasmissione di RAI 3 dedicata al documentario d'autore. Incontrando la regista, disponibile e cordiale dietro una scorza ‘montanara’, ci facciamo raccontare la sua storia di artista e documentarista.



Come si è evoluto il tuo percorso personale e professionale che, da artista e fotografa, ti ha portato alla regia?

Ho sempre viaggiato nel mondo dell’immagine e dell’arte ed ho avuto una vita abbastanza movimentata, vivendo vite parallele. Sono nata a Merano, in Alto Adige, mia madre è tedesca, e noi quattro figli vivevamo un po’ in Italia e un po’ in Germania. Mentre frequentavo la Scuola d’Arte, avevo 15-16 anni, dipingevo, facevo fotografie b/n e le stampavo. Crescendo, ho sempre covato dentro di me anche un grandissimo amore per quello che è il raccontare le storie degli altri: vedevo delle persone, m’incuriosiva e m’interessava sapere come vivevano, cosa facevano e perché, finché non ho deciso di andare un po’ oltre la pittura e le foto. Nella vita come nell’arte, quello che conta per me è il percorso di una persona, un “viaggio” che, partendo da un punto dello spazio o del tempo arriva in un altro punto, spesso sono storie che hanno a che fare con la diversità o con nature inesplorate, avventure possibili in territori ancora senza confini, né steccati, oppure dentro l’anima delle persone, anche se talvolta si tratta di illusioni…



Come sei arrivata al documentario?

Nel 1992 ho conosciuto il giornalista Sergio Damiani e con lui ho iniziato a viaggiare in giro per l’Europa e non solo. Poiché la macchina fotografica era un po’ troppo invadente in certe situazioni, facevo disegni, pitture ed appunti di viaggio. Più che rivolgermi al paesaggio, cercavo d’intravedere le storie delle persone per avere un ricordo del loro vissuto e, quando sono uscite le prime telecamere digitali, ho deciso di comprarne una per provare a realizzare immagini in movimento: all’inizio ero più interessata a usare la telecamera per sperimentazioni artistiche,e Sergio la usava per i reportage. Abbiamo girato il nostro primo video durante un viaggio in Mongolia, sulla Via della Steppa: un viaggio a cavallo in due, con un carico di libri di fiabe e colori per i figli dei nomadi, che doveva raccontare e seguire le tracce dei popoli nomadi. Abbiamo montato il documentario per il Pianeta delle Meraviglie, un programma di viaggi particolari, e poi siamo stati invitati alle Falde del Kilimangiaro. Poi, dopo aver realizzato, insieme con altri, una serie per Link (Canale 5), abbiamo girato e montato Oceano dentro, storia di un viaggio in barca a vela nell’Oceano Atlantico sulla "barca dei folli", un documentario premiato con importanti riconoscimenti.



Prima di girare “Muyeye” sei diventata anche produttrice…di cosa tratta il documentario?


Sì, ho fondato la Kuraj Film; volevo fare un salto, ed ero orientata in questa direzione. L’esperienza di Muyeye, infatti, ha sempre a che fare con i viaggi, anche e questo è un elemento che caratterizza la Kuraj. Muyeye, è la storia di un polveroso villaggio africano e dell’incontro straordinario tra un gruppo di “bianchi” con dolorose storie di disagio psichico, giunti in Africa con l’Associazione Le Parole Ritrovate per costruire una scuola professionale gratuita e aperta a tutti, e la famiglia di Nebat Jumba, formata da quattro figli e due mogli, Kahasso e Riziki, che vivono in una capanna di fango e si mantengono spaccando sassi per pochi centesimi al giorno. Nebat ha un motivo in più che lo lega ai nuovi amici, poiché Riziki, la sua seconda moglie, è considerata pazza e indemoniata nel villaggio. Sotto il vecchio baobab nasce il germoglio di un'amicizia che legherà due mondi distanti, eppure accomunati dall'essere esclusi: i bianchi "matti" marchiati dal pregiudizio, i neri tagliati fuori dalle risorse e dal futuro.. Nel 2009 ho fatto un primo sopralluogo a Malindi e poi a Muyeye per vedere il posto, conoscere la gente e capire se si poteva tirar fuori una storia interessante per un documentario. Sono rimasta colpita da questo villaggio poverissimo, il villaggio nella polvere, ho visto il terreno dove avrebbero costruito la scuola - una scuola professionale gratuita, molto utile perché in Africa le scuole superiori sono a pagamento - ed ho conosciuto le famiglie che ne avrebbero beneficiato. Ho fatto molta fatica a capire cosa avrei voluto raccontare ma, fin dall’inizio, ho sentito che il mio compito non era tanto "celebrare" lo sviluppo di un progetto di cooperazione, ma piuttosto documentare gli eventi umani conseguenti all’incontro di due mondi lontani e diversi: i "matti" italiani e gli africani nella loro dimensione. Quando ho capito, io per prima, cosa volevo raggiungere, la storia si è costruita quasi da sola.



Come regista donna hai mai avuto problemi particolari?


Sì certo, ho avuto parecchi problemi, anche perché oggi ci sono tante registe donne, ma prima questo era considerato un mestiere maschile; l’uomo era più interessato al racconto di tipo reportage, dinamico, esplosivo per certi versi, mentre la donna ha sempre cercato di raccontare qualcosa di molto più interiore, come la sensibilità che muove i progetti, anche importanti. Per questo mi sono scontrata tantissime volte con i colleghi maschi e poche volte anche con colleghe donne, che avevano tendenza al protagonismo. Ma ne sono venuta fuori cercando di essere tollerante, non facendomi schiacciare né mettere i piedi in testa. Ho avuto una vita complessa e ho passato brutti momenti: questo mi ha fatto lavorare, ho iniziato un percorso di crescita personale, attraverso la meditazione e l’auto-discussione. Da piccola m’identificavo coi maschi, poi, improvvisamente, ho scoperto il mondo femminile, ho conosciuto donne che avevano avuto i miei stessi problemi, ho avuto una figlia molto giovane, a 19 anni, e poi le donne sono belle nel raccontare, nell’esprimersi, sono più complesse.



Le donne secondo te hanno ancora traguardi da raggiungere, e quali?

Sì, penso che le donne abbiano ancora tanto da lavorare perché ci sono molti problemi (la violenza, la prostituzione, ecc.) ma sono convinta che questa era patriarcale finirà, non solo perché non piace alle donne ma perché non piace neanche agli uomini, c’è un individualismo molto forte, grandi difficoltà nelle relazioni. Sarebbe bello se ognuno di noi, maschio o femmina, avesse la possibilità di esprimersi e, attraverso il confronto, cercare di capire quali sono le esigenze dell’uno e dell’altra.

**********************************************************



Juliane R. Biasi, nata a Merano (BZ), è laureata in lingue e letterature straniere e parla correntemente - oltre all'italiano - inglese, russo e tedesco. Artista, fotografa e documentarista sintetizza nel suo lavoro due grandi passioni: l'arte come impegno etico e il viaggio come scuola di vita. Le sue opere - sempre legate al tema dell’uomo in rapporto all’ambiente - sono esposte in Italia e all’estero. Ha realizzato mostre, reportage fotografici e collaborato alla produzione - in particolare come autrice e/o curando montaggio e post-produzione - di video produzioni e documentari di tipo sociale, antropologico, geografico e artistico. Muyeye è il suo ultimo documentario.

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®