In breve dall’America Latina - Ay Nicaragua, Nicaragüita
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2007
Nel novembre del 2006 il Parlamento nicaraguense aveva abolito un articolo del vecchio Codice Penale, in vigore da 130 anni, che prevedeva la possibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza a scopo terapeutico. A distanza di un anno, il 13 settembre 2007, l’abolizione del comma 3 dell’articolo 143 del Nuovo Codice Penale, che regolava la possibilità di praticare l'aborto nel caso in cui almeno tre medici avessero certificato una situazione di grave pericolo per la vita della madre, è stata confermata. Il Codice stabilisce una pena da uno a tre anni di carcere per chi pratica l’aborto e da uno a due anni per le donne che se lo procurano da sole. Nel gennaio del 2007 associazioni che si occupano di diritti umani e gruppi di donne hanno presentato vari ricorsi di incostituzionalità alla Corte Suprema ma al momento questa non si è ancora pronunciata sul fatto.
Si chiude un percorso, a dire la verità piuttosto vergognoso, con il quale il Nicaragua entra nel novero dei paesi in cui non è possibile praticare l’interruzione volontaria di gravidanza neanche per gravi motivi di salute della madre o del feto, in seguito ad uno stupro o ad un incesto.
Il cammino che ha portato a questa situazione si inserisce nella rinnovata offensiva delle Chiese Cattolica ed Evangelica e nel desiderio dei partiti politici di ricevere un sostegno dalle gerarchie ecclesiastiche. Ciò che aggiunge allo sconcerto anche lo sdegno è il comportamento di Daniel Ortega, leader sandinista; a voler pensare male infatti la sua elezione a presidente, realizzata grazie all’appoggio politico delle correnti cattoliche ed evangeliche del paese, è avvenuta a pochissima distanza dalla sua svolta antiabortista. E risulta piuttosto discutibile la risposta del deputato sandinista Edwin Castro, che insieme a lui ha appoggiato la legge anti-aborto, che ha definito il fatto, all’indomani delle votazioni, “frutto di valutazioni che riguardano semplicemente un criterio di vita e di civiltà”.
A distanza di un anno dall’entrata in vigore della nuova norma, Human Rights Watch ha pubblicato il risultato di un’inchiesta che testimonia l’impatto devastante per la salute e la vita delle donne che ha portato la proibizione totale dell’interruzione volontaria di gravidanza. L’indagine, che si basa su interviste a medici, funzionari del sistema di salute pubblica, donne che hanno avuto bisogno di assistenza e familiari di donne che sono morte in seguite alla norma, si chiama ‘Sopra i loro cadaveri: negazione dell’accesso ai servizi ostetrici di emergenza e l’aborto terapeutico in Nicaragua’ e documenta come la nuova norma abbia provocato nelle donne anche il timore di concorrere a servizi di salute ‘legali’, nel caso di complicazioni durante la gravidanza, specialmente in caso di emorragie, per paura di essere imputate per aborto. Allo stesso tempo i medici per timore di essere sottoposti a un processo, molto spesso sono riluttanti a dare l’attenzione necessaria.
In un clima ovviamente infuocato sono già molte le famiglie che denunciano la morte di donne nei reparti di medicina d’urgenza. La madre di Angela Morales, di 22 anni racconta che la propria “figlia è morta dopo due giorni di ricovero, in cui non le sono state prestate cure di nessun genere”. Denuncia i medici che le avevano “diagnosticato un’emorragia, ma il bambino era ancora vivo”. Aggiunge, confermando l’inchiesta di Human Rights Watch, che: “Nessuno ha toccato Angela: i medici erano evasivi sulle sue condizioni, ma si respirava aria di apprensione e imbarazzo. Noi della famiglia l’abbiamo vista morire poco a poco e non potevamo credere che il servizio sanitario pubblico potesse rendersi complice di un assassinio”.
Continua così, in un clima di assoluto disinteresse per la salute di tante donne, il ricorso agli aborti clandestini fatti in casa, la situazione drammatica delle bambine madri, la violenza senza la possibilità neanche di un qualche tipo di riparazione.
E alla richiesta di tanti nicaraguensi si unisce anche Human Rights Watch che, nell’interesse di tutelare i diritti umani delle donne alla vita, all’integrità fisica, alla salute e alla non discriminazione, chiama il governo a derogare la norma che penalizza l’aborto e a garantire giuridicamente l’accesso al aborto volontario e sicuro.
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