In breve dall'America Latina - Venezuela, Paraguay e Colombia
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
Petrona Villasboa, madre di Silvino Talavera
Dal sito di RadioMundoReal Foto: www.re-uita.org
PARAGUAY
Contadine del Paraguay contro il latifondo
Il Coordinamento Nazionale delle Organizzazioni delle Donne Lavoratrici, Agricole e Indigene del Paraguay (CONAMURI) ha organizzato ad Asunciòn un Forum delle Sementi con lo slogan “Per la terra, la sovranità alimentare e l’uguaglianza”, nel corso del quale ha denunciato la situazione di “disuguaglianza ed esclusione” nell’accesso alla terra e ha criticato “l’indifferenza del governo” che porta allo “sfruttamento e sradicamento”.
Le contadine del Paraguay hanno evidenziato che il ritardo nella realizzazione di una “riforma agraria integrale” costituisce una “minaccia diretta per la vita” delle donne e delle loro famiglie. “È una forma di violenza perché fa sì che le donne vivano in condizioni di disuguaglianza”, hanno aggiunto.
In un comunicato hanno riferito che il “modello di dipendenza alimentare” è promosso dallo stato, che “sostiene e favorisce gli interessi dei latifondisti e delle grandi multinazionali dell’agrobusiness”.
Affermano inoltre che l’utilizzo di agrotossici e di prodotti transgenici “avvelena la terra, l’acqua e l’aria che respiriamo”. Nella dichiarazione finale del Forum hanno denunciato anche il pagamento del debito estero con risorse naturali, la perdita delle risorse energetiche nelle centrali idroelettriche di Itaipu e Yacyreta, la complicità delle autorità con il traffico di legname e il saccheggio massiccio delle foreste native.
CONAMURI è stata inoltre una delle organizzazioni del paese a sostenere la lotta giudiziaria di Petrona Villasboa, madre di Silvino Talavera, un bambino di 11 anni che, nel gennaio del 2003, morì per avvelenamento da agrotossici utilizzati nelle piantagioni di soia transgenica vicine alla sua abitazione.
Proprio nei giorni scorsi la Corte Suprema ha condannato gli impresari rurali Alfredo Lautenschlager y Herman Schlender, proprietari della piantagione e responsabili dell’avvelenamento, a due anni di carcere per omicidio colposo. Concepción Meza, una delle integranti di CONAMURI che ha partecipato a fine novembre al Foro Regionale per la Sovranità Alimentare che si è tenuto a Montevideo, ha dichiarato che “è stata raggiunta una grande vittoria grazie allo sforzo unitario di tutte le organizzazioni paraguayane e all’aiuto internazionale. Siamo felici perché è stata fatta giustizia e perché questa sentenza servirà come esempio per gli altri produttori di soia e sarà utile a salvare altre vite”. Sui lavori del Foro per la Sovranità Alimentare Meza ha concluso dicendo che “dobbiamo difendere la nostra sovranità, sia territoriale che alimentare perché sono in pericolo le nostre acque, i nostri fiumi, i nostri alimenti, le nostre sementi”.
Fonte
Progetto Terre Madri – Traduttori per la Pace – Radiomundoreal
www.terremadri.it – www.traduttoriperlapace.org
VENEZUELA
Diritto ad una vita libera dalla violenza
Il 25 novembre l’Assemblea Nazionale della Repubblica Bolivariana di Venezuela ha approvato all’unanimità una Legge Quadro sul diritto delle donne a vivere una vita senza violenza. Alla seduta hanno partecipato più di 4000 donne di tutti i settori sociali e politici.
Questa legge, che è stata approvata proprio nella giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, identifica 19 forme di violenza contro le donne: psicologica, fisica, domestica, sessuale, lavorativa, patrimoniale ed economica, ostetrica, istituzionale, simbolica; inoltre la sterilizzazione forzata, il traffico e la tratta, le molestie, lo stupro, la prostituzione forzata, la schiavitù sessuale. Nella norma si stabiliscono meccanismi per rendere effettivo l’esercizio dei diritti umani delle donne e, in materia processuale, si stabilisce la creazione di organi specializzati nella giustizia di genere come i Tribunali della Violenza contro le donne.
L’abuso sessuale nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli studi medici sarà punito con una pena che va da 1 a 3 anni di carcere; il traffico e la tratta con una pena che va da 15 a 20 anni.
La legge identifica inoltre la violenza ostetrica, definendola come una situazione in cui la donna non è curata opportunamente ed efficacemente; è obbligata a partorire in posizione supina e le viene negata la possibilità di vedere il suo bambino appena nato; viene alterato il procedimento normale del parto e viene praticato un cesareo inutile. Con la nuova legge questo tipo di maltrattamento sarà considerato un reato e sarà multato con una sanzione che va da 3.230 a 6.241 dollari e con l’apertura di un procedimento disciplinare a carico del medico.
Malgrado le forti pressioni contrarie messe in atto da alcuni mezzi di comunicazione e da alcuni settori della società, l’Assemblea Nazionale ha approvato questa legge con il grande appoggio di donne delle organizzazioni politiche, accademiche e professionali.
Fonte Adital (www.adital.com.br)
COLOMBIA
Intervista a tre donne
María Lydyalu Perea Henríquez, coordinatrice nazionale del Movimento Etnico di Donne Nere di Colombia, Edith Bastidas, leader indigena e Dalila Gómez Baos, leader gitana del Processo Organizzativo del Popolo Rom di Colombia (PROROM), sono tre appartenenti a differenti etnie colombiane che hanno rilasciato un’intervista ad Actualidad Étnica con la quale hanno parlato della violenza che affligge le donne delle loro etnie e hanno indicato lo Stato colombiano quale responsabile di questa situazione per la mancanza di politiche adeguate.
María Lydyalu Perea Henríquez / La donna afrocolombiana
María Lydyalu Perea Henríquez afferma che la violenza verso le donne nasce nel momento in cui si violano i loro diritti fondamentali; “le donne afrocolombiane stanno subendo da tempo il trasferimento forzato dai propri territori, l’assassinio, la violenza, la distruzione dei propri valori. Queste violazioni sono acuite dall’assenza totale dello Stato nel mezzo di una vera emergenza umanitaria”. Questa poca attenzione da parte del governo è, per Perea Henriquez, il riflesso della discriminazione, della disistima e del razzismo che esiste nei confronti delle differenti etnie colombiane. “La soluzione a questo problema è nell’educazione: è necessario avviare una co-etnoeducazione, cioè un’educazione che parte dalla prospettiva di genere e dei gruppi etnici in modo che i bambini e le bambine apprendano a rispettare i differenti tipi di vita e cultura presenti nel paese”.
Edith Bastidas / La donna indigena
Secondo i dati dell’ONIC (organizzazione Nazionale Indigena di Colombia) 16 donne indigene vengono violentate ogni anno da paramilitari o guerriglieri; negli ultimi 4 anni sono state assassinate 118 donne indigene; 16 si sono suicidate a causa della guerra civile; 538 sono state forzatamente trasferite dai propri territori dall’attuale governo.
Edith Bastidas, ex candidata del Movimento di Autorità Indigene di Colombia (AICO), dichiara che anche se nelle comunità indigene le donne sono fondamentali per il loro essere generatrici di vita, di cultura e di educazione, la loro partecipazione alle decisioni importanti è ancora limitata. D’altra parte denuncia le violazioni dei diritti umani attuate da elementi esterni alle comunità come i gruppi armati. Bastidas dichiara che la soluzione per cessare la violenza contro le donne è quella di educare la comunità sui diritti umani delle stesse che sono parte integrante di un popolo: “si devono aprire maggiori spazi di riflessione da una prospettiva di genere e lo Stato deve concertare di più gli interventi nelle comunità e consultare le donne per capire quali sono le loro necessità reali”.
Dalila Gómez Baos / La donna gitana
Dalila Gómez Baos sente che la violenza maggiore che si sta attuando verso le donne gitane è quella che viene esercitata dall’esterno, con il tentativo di imporre una educazione che è uniformante e che non tiene conto della cultura propria del popolo Rom. “La violenza contro di noi non è solo fisica; noi ci sentiamo violentate come gitane nei nostri diritti collettivi e nella discriminazione operata dai mezzi di comunicazione che ci emarginano dando di noi un’immagine stereotipata. Perché nel nostro paese cessi la violenza si deve costruire la pace a partire dalla quotidianità, ci deve essere un equilibrio tra equità e giustizia e si devono generare politiche di inclusione per una interculturalità reale ed effettiva”.
(22 gennaio 2007)
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