Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
America Latina
Contro la violenza sulle donne
Dal 25 novembre al 10 dicembre sono previsti 16 giorni di mobilitazione, in tutta l’America Latina, per richiamare l’attenzione sulla violenza subita dalle donne. Le date chiave di questa campagna sono: 25 novembre – Giornata della Non Violenza contro le donne, 1° dicembre - Giornata di mobilitazione per l’eliminazione dell’AIDS, 6 dicembre – Anniversario della strage di Montreal, 10 dicembre – Giornata Internazionale dei Diritti Umani.
La campagna, che viene portata avanti dal 1991, è nata per commemorare tre donne, sorelle, vittime della violenza di Stato, che durante la dittatura di Trujillo nella repubblica Domenicana, nel 1960, furono barbaramente assassinate a causa della loro resistenza politica al regime autoritario. Patricia, Minerva e Maria Teresa Mirabal sono state dei simboli visibili di resistenza alla dittatura di Trujillo.
ISIS International è l’organizzazione non governativa - il cui nome deriva dalla Dea egiziana della saggezza, della creatività e della conoscenza - che coordina questa campagna che include governi, istituzioni delle Nazioni Unite, ONG, giornaliste e attiviste in tutta l’America Latina e nei Caraibi. La mobilitazione ha come obiettivi quello di fare pressione per ottenere riforme legali, di utilizzare gli strumenti e gli accordi internazionali, nonché le differenti legislazioni nazionali per affrontare il tema della violenza sulle donne come violazione dei diritti umani, di rinforzare gli strumenti di prevenzione e di reclamare servizi di appoggio e sostegno per le vittime.
Colombia
Il corpo delle donne come arma di guerra
L’agenzia Adital riporta un articolo del bollettino Hechos del Callejòn, edito dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo in Colombia, secondo il quale la violenza sessuale, nel conflitto armato colombiano, è utilizzata frequentemente ed è vista come uno strumento per umiliare il nemico e dimostrargli che non è stato in grado di proteggere le proprie donne. Oltre alla terribile violazione del corpo, quindi, la violenza è un mezzo per ribadire che le donne sono considerate proprietà dell’uomo e riproporre un modello egemonico.
Paola Figueroa, del Tavolo Donne e Conflitto Armato, ha dichiarato che questo tipo di violenza è usato per disonorare la fazione contraria e umiliare e terrorizzare la comunità.
Un altro grave problema messo in evidenza da Patricia Buriticà di Iniziativa di Donne per la Pace, un coordinamento di 22 associazioni, è che i delitti contro le donne in un conflitto armato sono invisibili perché sono considerati poco gravi. Infatti di fronte ad un massacro, una strage si tende a dire che la violenza contro una donna è poco rilevante. La violenza è considerata meno importante perché le donne non sono torturate come succede agli uomini e perché vengono lasciate in vita. Per questo motivo nelle statistiche sono contabilizzati delitti come la strage, l’omicidio, lo spostamento di popolazioni e non lo stupro che spesso è un reato collegato a questi.
Il problema principale di fronte a questi abusi è la completa impunità, dovuta alla paura, al silenzio, sia perché le denuncie non vengono fatte sia perché manca una coscienza che questa forma di violenza è un reato.
I dati relativi al 2005, riportati dall’Istituto Nazionale di Medicina Legale colombiano che realizza gli esami ginecologici per determinare se una persona è stata vittima di abusi e violazioni della propria libertà sessuale, dicono che di 18.474 test realizzati, 13.697 sono stati fatti a donne; di questi, la maggioranza sono stati realizzati su bambine tra i 10 e i 14 anni che sono risultate così le più colpite da questa orribile violenza.
Nicaragua
Penalizzato l’aborto terapeutico
Il 26 ottobre l’Assemblea Nazionale legislativa del Nicaragua ha approvato una legge che annulla l’articolo 165 del Codice Penale del 1983 che stabiliva la legalità dell’aborto terapeutico. Il Codice Penale stabiliva la possibilità di ricorrere all’aborto terapeutico nel caso in cui la madre correva rischio di vita o di gravi danni alla salute e nel caso di danni psicologici in seguito ad una violenza. Chi contravviene a tale disposizione rischia tra 4 e otto anni di carcere.
Secondo il MAM (Movimiento Autónomo de Mujeres) in Nicaragua ogni anno si praticano tra 800 e 1.000 interruzioni di gravidanza per motivi di salute. Juana Jimenez del MAM riferendosi alle 200.000 firme che all’inizio di ottobre erano state presentate in Parlamento da rappresentanti della Chiesa Cattolica ed Evangelica chiedendo l’annullamento dell’articolo 165, ha dichiarato che si è deciso di scambiare 200.000 possibili voti con la vita di più di 3.000.000 di donne.
Anche la Ministra della Salute, Margarita Guardian, ha affermato che i legislatori nel prendere una decisione così delicata non hanno consultato medici e specialisti ma hanno solo ascoltato le richieste delle alte gerarchie religiose e non hanno assolutamente preso in considerazione le richieste della società civile e dei movimenti delle donne.
Il coordinamento delle ONG che lavorano per l’infanzia e l’adolescenza e l’Ente Speciale per l’Infanzia hanno chiesto che tale argomento venisse affrontato dopo le elezioni e hanno ricordato che in Nicaragua il 30% delle donne che subisce violenza sessuale è rappresentato da bambine e adolescenti. Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione – UNFPA – nel paese ha segnalato che questa decisione del Parlamento ha limitato fortemente i diritti umani delle donne.
Questa modifica del Codice Penale è avvenuta a pochissimi giorni dalle elezioni e a seguito di una forte campana delle diverse religioni per eliminare l’aborto terapeutico dal paese.
America Latina
Condizioni delle detenute
Il Centro per la Giustizia e Diritto Internazionale (CEJIL), il Coordinamento per i Diritti Umani del Paraguay (CODEHUPY) e l’Istituto di Studi Comparati in Scienze Penali e Sociali hanno denunciato alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH) e all’Organizzazione degli Stati Americani le condizioni di profondo disagio in cui vivono le detenute in Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay. A questo scopo le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno consegnato un documento elaborato riportando i dati di un’inchiesta nei diversi centri penitenziari dei paesi coinvolti nella ricerca. Il rapporto mette in evidenza come, anche se il sistema penitenziario di questi paesi sia molto carente e leda i diritti di tutti i detenuti, nel caso delle donne la situazione sia ancora più problematica. In particolare il documento sottolinea alcune problematiche specifiche a partire dalla mancanza di un’attenzione medica sufficiente, di una politica discriminatoria in relazione alle visite private, di un’offerta educativa che tende a rinforzare ruoli stereotipati di genere, di una gestione della sicurezza interna del carcere da parte di personale dell’altro sesso fino all’aggressione fisica e sessuale che in alcuni casi si traduce in coercizione alla prostituzione.
(10 dicembre 2006)
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