A tutto schermo - Le mutilazioni genitali femminili al centro del film del regista africano
Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2006
Un argomento che coinvolge visceralmente, quello delle mutilazioni genitali femminili, come sempre quando si rinnova il triste e secolare rito della violazione del corpo delle donne, anzi in questo caso, delle bambine. Questo tema, che scuote l’opinione pubblica e impegna tante associazioni umanitarie (in prima linea è Amnesty International), interessando antropologi esperti ed organizzazioni femminili africane sulle implicazioni culturali, tradizionali e sociali nonché sui risvolti psico-fisici della pratica delle mutilazioni, è oggi magistralmente affrontato da un film del grande regista senegalese Sembene Ousmane, opera già vincitrice a Cannes 2004 nella sezione Un Certain Regard e distribuito solo oggi in Italia dalla Lucky Red. Oltre alla bellezza pittorica - ogni scena sembra un quadro dove la luce, i colori e i suoni dell’Africa raggiungono vertici altissimi di espressione estetica - il film sbalordisce per la potenza della storia raccontata, per la minuziosa ricostruzione di ciascun segmento ambientale, psicologico, antropologico, per la poesia e l’umanità che trapelano da ogni immagine e da ogni dialogo, anche nei momenti più drammatici. La protagonista, Collé Ardo (una bellissima donna dal ventre malamente ricucito, interpretata dall’attrice Fatoumata Coulibaly) vive in un villaggio del Senegal dove viene praticata abitualmente l’escissione, il Salindé: lei però, a causa delle difficoltà nel partorire e delle sofferenze che tale mutilazione le ha procurato, ha rifiutato sette anni prima di praticarla a sua figlia, dando vita ad un precedente unico nel suo genere. Per questo alcune bambine fuggite dall’escissione si rifugiano presso di lei in cerca di protezione e Collé riesce a salvarle grazie all’applicazione del moolaadè, la protezione accordata convenzionalmente a qualcuno che fugge, una sorta di diritto d’asilo riconosciuto tradizionalmente così come la mutilazione. Dunque un vero e proprio scontro di simboli, ciascuno dei quali riconosciuto come sacro e inviolabile dalle autorità religiose, che metterà in crisi il sistema omocentrico (gli uomini bruciano le radio delle donne perché queste non recepiscano idee corruttrici) e bigotto del villaggio. La forza del film è proprio questa: Collé sfida il sistema costituito utilizzando le sue stesse regole, passando attraverso un espediente tradizionale e comprensibile al suo popolo, convinta che la religiosità profonda non sia legata a regole cruente ma alla solidarietà ed all’accoglienza. Pagherà a suon di frustate la sua posizione anticonformista ma la sua resistenza aprirà le porte al vento della ribellione e le donne si uniranno a lei nella lotta gettando via, in una scena altamente simbolica da vero rituale guerriero, i coltelli con cui le “mammane” locali praticano le mutilazioni alle ragazzine di sette-otto anni. Il film ci ricorda, infine, quanto sia importante offrire sempre accoglienza ed asilo, come prevenzione alla disperazione, alla violenza e alla morte. “Le ragazze che non subiscono escissione - spiega il regista Ousmane - sono delle Bilakoro, impure per il matrimonio: solo la mutilazione eleva le ragazze al rango di spose, ponendole all’apice dell’onorabilità, nel cerchio retto delle madri felici. Queste donne sono simbolo di purezza e onorano il marito, il quale può così controllare la fedeltà e sessualità delle sue spose. Per quanto mi riguarda sono un fervente sostenitore dell’abolizione dell’escissione: questo da sempre ma ancor più in un periodo come questo che vede estendersi a macchia d’olio l’AIDS. Io parlo in tutte le piccole radio dei villaggi e questo fa muovere le popolazioni. In Africa non si fa cinema per vivere ma per comunicare, per militare.”
LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI OGGI NEL MONDO
Secondo le Nazioni Unite circa due milioni di bambine e ragazze ogni anno sono vittima di mutilazioni genitali femminili e 120/130 milioni di donne nel mondo hanno subito tale pratica. In Africa le mutilazioni sono praticate in ben 25 paesi (soprattutto dalle popolazioni nomadi e dei villaggi rurali), oltre che in alcune zone della penisola arabica, in Malaysia, in Indonesia ed all’interno di comunità immigrate in Europa, America e Oceania. Il rito della Salindé è più antico dei tre libri santi rivelati (Talmud, Bibbia e Corano) e, secondo alcuni antropologi, l’escissione è originaria dell’Egitto dei faraoni da dove si sarebbe estesa all’Africa Nera. Le mutilazioni provocano dolore, shock ed emorragie e ogni anno provocano numerose vittime. “L’uso di strumenti non sterilizzati, spine di acacia e crini può provocare infezioni, ingenerando danni permanenti agli organi, ascessi e tumori benigni, oltre veicolare l’infezione da HIV. Le testimonianze di donne che hanno subito le mutilazioni parlano di ansia, terrore, umiliazione e senso di tradimento (dal rapporto Amnesty)”. Solo in questo secolo, grazie alle battaglie delle organizzazioni femminili africane, è stato possibile raccogliere alcuni risultati concreti per iniziare a smantellare questa pratica legata ad una serie di importanti tradizioni socio-culturali che non possono essere “demonizzate” con sufficienza o leggerezza (pena una visione eurocentrica del mondo e del sapere) ma che vanno affrontate con delicatezza e rispetto. Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie sostengono le battaglie del Comitato interafricano contro le mutilazioni (che ha compiuto quest’anno il ventennale), anche dal punto di vista economico, oltre che attraverso la sensibilizzazione delle donne e dei governi al problema. Un passo importante è stata la ratifica, da parte di molti paesi, del Protocollo di Maputo, ma manca una legge applicativa e, di fatto, esso rimane lettera morta. In Italia, dove le mutilazioni sono perseguite in base al codice penale, è stata varata il 22 dicembre 2005 una legge sulle mutilazioni genitali femminili.
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