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Monologhi a confronto

Monologhi a confronto

Donne in teatro - La figura femminile di Claudio Magris e la Sibilla Aleramo di Osvaldo Guerrieri. Due modi di vivere la vita e l'amore

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007

Lei dunque capirà di Claudio Magris e Sibilla d’amore di Osvaldo Guerrieri sono due lucenti monologhi teatrali che non svaniranno con la stagione in corso: lontani fra loro, diversi per stile e linguaggio, hanno tuttavia per la densità dei contenuti e le intensità delle emozioni che racchiudono, tratti comuni che inquietano e commuovono. Due donne ne sono le rispettive protagoniste, entrambe legate con il nodo stretto della passione amorosa ad un compagno, un poeta che il destino ha strappato alla loro felicità. Una è Sibilla Aleramo, poetessa e narratrice provata da una vita inquieta e difficile. L’altra è la donna-ombra, sposa scomparsa di uno scrittore che non si è rassegnato alla sua assenza. Ognuna dal proprio mondo - quello caldo e palpitante di energia vitale dei vivi e quello spento e ammutolito del regno dei morti - evocano la gioia e l’esaltazione dell’innamoramento, la pienezza dell’amore, lo sconforto della perdita, la malinconia tenera e struggente del rimpianto.
La figura femminile abbracciata dalle pagine del libro di Claudio Magris (creatori dello spettacolo, oltre all'autore, sono l'attrice Daniela Giovanetti e il regista Antonio Calenda) ricorda Euridice, l’innamorata di Orfeo sprofondata negli inferi per il morso di un serpente e inseguita nell’Ade dal giovane cantore. Ma nella protagonista pragmatica e straordinariamente femminile del monologo di Magris non affiora la vena remota del mito e nessuna favolosa evanescenza aleggia nel suo discorso di congedo dal direttore del luogo che si accinge a lasciare per andare incontro al compagno della sua vita che la riporterà con sé. Nell’arco dell’attesa lascia fluire i sentimenti che la penombra eterna del posto non hanno ancora spento e il suo affetto per il marito che, come il mitico Orfeo, non dovrà mai volgersi a guardarla se vuole ricondurla fra i vivi. Ma dalla confessione emerge poco alla volta la volontà della donna di impedire il ritorno, di non affiancare il compagno di una vita sulla via verso la luce del mondo. Lei che ha protetto la fragilità di un uomo forte fra piccole miserie e grandi gioie, non vuole che lui sappia e capisca la verità di quel luogo. Dopo la potente e disperata, affettuosa e ironica evocazione di una passione coniugale e delle cose della vita rimarrà sola nella quiete malinconica del suo mistero.
A questo testo dalla stupefacente scrittura, mobile e inafferrabile come i pensieri, ma salda per la forza dei sentimenti che la ispirano, ha prestato talento e passione Daniela Giovanetti con un’interpretazione molto efficace, accesa e senza enfasi indicata dalla regia precisa di Antonio Calenda.
Viceversa. la Sibilla Aleramo di Osvaldo Guerrieri al sapore della vita non intende rinunciare. Ancora piena di vitalità e di fascino, la si vede festeggiare nel suo salotto in pacata solitudine il suo cinquantaseiesimo compleanno. Nell’attesa di un giovanissimo amante, e in compagnia di qualche calice di buon vino parla a se stessa. È una donna in apparenza appagata, affrancata dalle oppressioni maschili che l’hanno condizionata, ma i segni delle tensioni e delle scelte tormentose si delineano quando affonda nel suo passato che ha inflitto dolorose punizioni alle sue passioni femministe. Anche in questo monologo si sviluppa un racconto intimo. Fra un sorso e l’altro, la distaccata disinvoltura si muta in una penetrazione della coscienza. Quando il ricordo illumina il suo incontro con il Dino Campana, il suo poeta non più in vita con il quale ha avuto una relazione incandescente, resa morbosa dalla follia, la rievocazione delle pulsioni e dei desideri offusca le certezze e si fa emozione pura, inarrestabile, violenta.
Si è visto questo lavoro diretto da Beppe Navello con l’interpretazione elegante di Anna Galiena, una meraviglia di compostezza quasi distaccata, con un solo impeto turbinoso quando si profila il ricordo dello spettro della sifilide. La versione che ne è seguita con Liliana Paganino diretta da Pietro Cartiglio per il Biondo di Palermo appare più movimentata e meno legata al suo tempo: altro temperamento e altra interpretazione. Ma poiché ogni lettura porta un’anima e una mente diverse, accantoniamo i paragoni e rimandiamo alla lettura del libro che custodisce questo monologo avvincente e serrato, una costruzione rigorosa che nulla toglie alla lievità e alla libertà di una scrittura mirabile per delicatezza lirica e forza espressiva.
(22 maggio 2007)

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