Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2007
VIAGGIO IN INDIA
Nella storia del cinema, come in quella della letteratura, il tema del viaggio in India, “il” viaggio esotico per eccellenza, è sempre sinonimo di ricerca spirituale, religiosa e di meditazione sui destini individuali o, più in generale, umani. Le domande filosofiche classiche (chi siamo? dove andiamo? esiste dio o siamo frutti del caso?), che si pongono da sempre i viaggiatori attratti dall’India e dai suoi misteri, dalle spedizioni dell’Ottocento fino agli hippies degli anni Settanta, sono ben presenti anche nel soggetto dell’ultimo film del grande regista iraniano, Mohsen Makhmalbaf, con alcune peculiarità importanti. La prima è che qui la coppia protagonista che compie il viaggio (moglie e marito, entrambi belli e affascinanti) proviene dall’Iran, e questa è certamente una novità cinematografica; la seconda riguarda la profonda differenza dei due nell’approccio al paese: la donna, infatti, su indicazione del suo maestro di meditazione è partita alla ricerca di un 'sadhu' chiamato l’ “uomo perfetto”, dunque con un dichiarato intento di ricerca spirituale, mentre il marito è laico fino al midollo ed esprime, nel corso di tutto il film, le proprie certezze di marxista/materialista/ateo e profondamente convinto, da infinite prove per lui schiaccianti (quali la miseria di tanta gente e l’assurdità del mondo in generale), della non esistenza di alcun dio o, al massimo, del suo totale disinteresse alle cose create. La donna desidera un figlio più di ogni cosa e prega costantemente per comprendere il senso della vita e della morte, lui crede soltanto nel grande amore, terreno e sensuale, che ha per la bellissima moglie, né ha alcuna intenzione di dar vita ad altri infelici in un mondo tanto insopportabile. Nel forte contrasto fra queste due posizioni sta la chiave di lettura del film, come sempre fortemente filosofico ed esteticamente ineccepibile, con l’utilizzo di primi piani, colori forti, luci e forme come pitture, quadri o fotografie che colgono i tanti momenti salienti del film, ciascuno importante ed irripetibile. E’ a Varanasi, la Città Santa, dove approderanno al termine di numerosi incontri e peripezie, che i due protagonisti sublimeranno l’esperienza diretta della morte, assistendo ai riti di cremazione sul Gange, rafforzandosi ciascuno nella propria idea, agnostica l’uomo, religiosa la donna (chissà perché al sesso femminile è affidata la necessitante continuità della specie e la tendenza al trascendente…). Un bel film sull’India vista dagli occhi di un regista iraniano profondamente laico: Makhmalbaf, infatti, incarcerato e torturato per quattro anni durante il regime dello scià di Persia, perché a 17 anni leggeva Marx (“senza neppure capirne bene il significato”, come lui stesso racconta), ha girato film in molti paesi del mondo ed ha costruito la Makhmalbaf factory, il laboratorio cinematografico di famiglia, nel quale lavorano la moglie ed i tre figli di Moshen.
IL MATRIMONIO DI TUYA
Sempre più sembrano affascinare il grande schermo storie di donne forti che si svolgono in paesi lontani, il cui pane quotidiano di fatiche ed avversità ne fa emergere, insieme all’aspetto vitale ed all’illimitata capacità di resistenza, la vena intima di poetica fragilità ed il messaggio universale del film. E’ questo il caso dell’opera - made in China - vincitrice dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2007. Tuya, la protagonista, abita nei territori nord-ovest della Mongolia interna cinese: ha dei terreni da pascolo, cento pecore, due figli ed un marito paralizzato, Bater. “Mia madre è nata nei pressi delle locations di questo film nella Mongolia interna - afferma il regista cinese Wang Quan An – per questo motivo amo molto la vita mongola, i mongoli e la loro musica. Quando ho saputo che le forti espansioni industriali rendono i terreni da pascolo sempre più simili a un deserto e che gli amministratori locali hanno obbligato i pastori a lasciare le loro terre, ho deciso di usare il cinema per documentare questi avvenimenti, prima che si perdessero del tutto. Questo matrimonio particolare è tratto da una storia vera”. Bravissimi i protagonisti, fra i quali l’unica attrice professionista è Yu Nan, nel ruolo di Tuya. Bater e Sen Ge (il vicino) sono due pastori mongoli e Baulier un uomo d’affari e direttore di un ristorante.
Lascia un Commento