Parità/ Un convegno e un corso - A conclusione dei mandati, ed in attesa delle nuove nomine, noidonne fa il punto sul problema e sulle iniziative di alcune Consigliere di parità a Modena e a Novara
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005
Parlare di mobbing è importante per riconoscerlo, per scovarlo là dove si insinua, ma anche per non creare una psicosi collettiva tale da confonderlo con altri comportamenti. Sono sempre di più i lavoratori che lamentano situazioni insostenibili, sono in aumento anche il numero delle denunce presentate presso gli uffici delle Consigliere di Parità. La difficoltà maggiore per gli operatori degli sportelli di primo ascolto è però quella di comprendere quali siano le reali problematiche sottese alle situazioni lamentate: a volte infatti il concetto di mobbing è utilizzato in maniera impropria. Il tema è di particolare interesse per le consigliere di Parità, nella loro funzione di tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Tra gli eventi organizzati al riguardo: il convegno di Modena, a cura delle consigliere Isa Ferraguti e Mirella Guicciardi, ed il corso di Novara per gli operatori degli sportelli di prima accoglienza, perché il mobbing deve prima di tutto essere riconosciuto in modo corretto.
“Il lavoro è un diritto, ed è un diritto anche lavorare con dignità. Premesso ciò è necessario avere un adeguato approccio del problema - così la Consigliera di Parità di Modena, Isa Ferraguti, ha introdotto il convegno - occorre evitare gli estremi, distinguere il mobbing da ciò che non lo è, ma altresì non sottovalutarlo o ironizzarlo, né tanto meno confonderlo con la fisiologica e stimolante competizione sul lavoro, quasi fosse uno straordinario strumento di selezione”.
La risoluzione del Parlamento Europeo del 20 settembre 2001 titolata “Mobbing sul posto di lavoro” individua tra le aree a rischio, in particolare il lavoro femminile e le professioni con elevato livello di tensione. Nel suo intervento, la Consigliera e avvocata Mirella Guicciardi, dopo aver esposto le normative a disposizione nel nostro Paese ha specificato che le consigliere di parità hanno l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati dei quali vengono a conoscenza.
Tuttavia nella legislazione italiana il fenomeno del mobbing non ha trovato una tutela specifica, tranne quella di natura contrattuale e risarcitoria, collegata a vertenze di natura economica, e a parte un riferimento contenuto nel D. L.vo n. 216/2003, dove si indica il “divieto di discriminazione diretta ed indiretta sul posto di lavoro”.
È inoltre arduo, entrando nei casi concreti, distinguere fra mobbing e sensazione, o convinzione, di non essere valorizzati al meglio delle proprie prestazioni, o di non essere motivati come si vorrebbe. In questo caso si dovrebbe analizzare se l’incapacità di motivare e/o valorizzare sia un difetto del capo o una volontà del capo: spartiacque questo per determinare il mobbing.
È importante, inoltre, l’analisi della differenza fra mobbing orizzontale ed autoesclusione, in quanto esiste anche la scarsa disponibilità o capacità del lavoratore ad integrarsi nel gruppo di riferimento. Anche in questo caso la volontà o le incapacità sono il discrimine tra le due situazioni. Può sorgere anche confusione tra situazioni di mobbing e situazioni di disagio personali o familiari che possono riflettersi sull’attività professionale. “Occorre quindi la massima collaborazione fra le parti sociali, superando le vecchie categorie di analisi (tutti i cattivi sono mobbers, tutti i buoni sono mobbizzati) per tavoli di confronto e chiarificazione”. Ha spiegato Maria Grazia Malagoli, direttore Api.
Per agire in modo efficace e coordinato, i rappresentanti di alcuni servizi si sono uniti per costituire una rete in cui ciascuno abbia un ruolo preciso nella conduzione dei casi. Si comprende a questo punto quanto sia importante la formazione degli operatori degli Sportelli di primo ascolto presso gli uffici delle Consigliere.
Le consigliere di Parità della Provincia di Novara hanno promosso un’iniziativa per garantire ai soggetti vittime del mobbing, un aiuto adeguato alle diverse patologie.
«L’obiettivo – dicono Silvana Ferrara e Eva Boglio,– è quello di creare un servizio multifunzionale per il territorio. Grazie alla collaborazione con il Servizio di Medicina del Lavoro, i Centri Servizi alle Persone dislocati nella provincia, i sindacati maggiormente rappresentativi e un team di avvocati specializzati in diritto del lavoro, si potrà ottenere una valutazione globale di ciascun caso».
A Novara, il primo passo nella costituzione del tavolo tecnico è stato compiuto attraverso la partecipazione degli operatori ad un corso di formazione in grado di fornire una definizione del problema e una procedura univoca. Il corso è stato tenuto dal dottor Harald Ege dell’Associazione “Prima” di Bologna. Il dottor Ege è il maggior esperto di mobbing in Italia e primo studioso a svelare nel nostro Paese la presenza del "terrore psicologico" sul luogo di lavoro: un fenomeno che studia da undici anni e sul quale fa ricerca all'Università di Bologna.
Quando nasce l’azione di mobbing nei confronti di un uomo? Quando è in attesa di miglioramento di posizione di lavoro nella sua stessa azienda o, dopo che ha dato il massimo, non viene ritenuto più necessario e viene emarginato o contrastato nella sua attività, oppure quando diventa “scomodo” per l’azienda a causa delle sue idee e delle modalità di lavoro che propone o perché è entrato in contrasto con i vertici aziendali. Nella maggioranza dei casi denunciati è così - tuttavia si deve tener conto che questo accade anche tra dirigenti, donne o uomini, e loro sottoposte - il motivo di attrito è soprattutto il lavoro, la professionalità del lavoratore che viene messa in discussione.
Quando nasce l’azione di mobbing nei confronti di una donna? In gran parte dei casi, quando è appena rientrata dal periodo di maternità o ha bisogno di allontanarsi con una certa frequenza dal lavoro per provvedere a quel servizio di “cura”, che ricade sempre sulle spalle delle donne. In questo caso si cerca di emarginarla, non la si tiene più al corrente delle informazioni necessarie allo svolgimento del suo lavoro, la si isola, la si fa sentire in colpa per la situazione creatasi a causa delle sue assenze. In questo caso non è in gioco il solo lavoro, la professionalità del lavoratore, quanto l’assenza e lo stato psicologico della donna stessa.
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