Vecchi mali, nuove cure - Il film di Francesca Comencini, interpretato da Nicoletta Braschi, contro una piaga diffusa nei luoghi di lavoro
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005
Una pellicola scabra e dura che rappresenta un’importante testimonianza di denuncia contro un sopruso troppo spesso taciuto e che fornisce una dose di coraggio in più per reagire e denunciare. “Mi piace lavorare-Mobbing” di Francesca Comencini è un documento di denuncia contro una piaga sempre più diffusa nell’ambito professionale. Il termine anglosassone, di recente adozione nel vocabolario dell’etica del lavoro, indica l’atteggiamento di persecuzione ed isolamento ai danni di un dipendente allo scopo d’indurlo all’autolicenziamento.
La pratica subdola e vigliacca porta, attraverso uno stillicidio di violenze psicologiche mirate, all’esasperazione del soggetto preso di mira al fine di spingerlo ad allontanarsi spontaneamente. Interessante e innovativo è stato l’impiego del film, nell’ambito di un’iniziativa istituzionale: “Tempi moderni: ritmi di vita e tempi di lavoro” organizzata recentemente dal Comune di Carpi, Assessorato alle Politiche culturali e Assessorato alle Pari Opportunità. Credo che questo film debba essere utilizzato come strumento di prevenzione al fenomeno e sarebbe interessante studiare insieme alle Consigliere di parità una modalità per raggiungere le lavoratrici e i lavoratori. Alla Comencini questa idea è piaciuta perché era un pò il suo obiettivo iniziale e non credeva che a distanza di due anni dall’uscita del film, si creasse tutto questo interesse.
L’interprete principale è Anna, separata con figlia e padre anziano a carico che compie sacrifici per far quadrare i conti a fine mese. Svolge con serietà ed impegno il lavoro di capocontabile in un’azienda fino a quando un cambio di gestione porta ad un’ottimizzazione della produzione, formula dietro cui si cela una riduzione del personale. Anna è tutelata per la sua condizione famigliare sulla carta, ma di fatto viene progressivamente discriminata da superiori e colleghi attraverso una lenta e graduale discesa di livello che la porta a svolgere incarichi sempre meno qualificanti e mansioni sempre più degradanti. Lo stress psico-fisico accumulato sul lavoro interferisce con la sfera privata minando i già delicati equilibri famigliari.
Gradualmente il sorriso di Anna scompare, lo sguardo si abbassa e il passo si fa lento. Il lavoro negato occlude la via verso la realizzazione personale e prima ancora calpesta la dignità degradando il soggetto preso di mira dal mobbing ad elemento inutile, in esubero. Tuttavia l’esperienza devastante di Anna non intacca il rapporto con la figlia Morgana, nei cui occhi innocenti la madre trova il motivo per reagire. Al termine della proiezione è stato piacevole partecipare al confronto di opinioni in merito ad un argomento così spinoso. Francesca Comencini ha raccontato che le è capitato spesso di conoscere lavoratrici vittime del mobbing, ma non conosceva nessuno che fosse arrivato a sentenza. Nel momento in cui ha conosciuto una lavoratrice con questi requisiti, le è venuta l’ispirazione. Ha evidenziato in maniera significativa il ruolo e l’importanza della maternità e ha voluto sottolineare come non deve essere un handicap ma, al contrario, un bene prezioso per la società. Dagli incontri che ha avuto, finalizzati alla raccolta di sensazioni ed esperienze, indispensabili al film, si è accorta di un denominatore comune tra le lavoratrici mobbizzate: “le prime della classe”. Esattamente così, capita alle più brave, a quelle che cercano di dare il meglio sacrificando anche la propria famiglia e la propria vita privata. Trovandoci a commentare questo film in provincia di Modena ho voluto fornire qualche dato sul mobbing relativo al territorio. Dal nostro osservatorio di Consigliere di parità, abbiamo riscontrato che tra le lavoratrici e i lavoratori che si sono rivolti all’ufficio , il 40% circa dichiara di essere vittima di mobbing. Le donne incidono in misura del 95% e gli uomini per il 5%, occupati prevalentemente presso imprese private. Molto spesso le donne sono mobbizzate al rientro dalla maternità, a causa dell’utilizzo dei congedi parentali oppure scegliendo il part-time. Tutto questo succede, a mio avviso, perché il datore di lavoro, non avendo la completa disponibilità di tempo della lavoratrice, non la ritiene affidabile. Questa è la cultura radicata nei nostri imprenditori che valutano i lavoratori sulla base della quantità di tempo dedicato e non sulla qualità.
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