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Mizgin, che lotta anche per l’identità

Mizgin, che lotta anche per l’identità

Kurdistan - Tra le violenze del nazionalismo turco contro il popolo curdo e le imposizioni della cultura patriarcale, l’associazione Selis aiuta le donne

Luisa Morgantini Mercoledi, 04/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2012

Quando Mizgin entra in una stanza è una ventata di aria pura e hai subito voglia di sorriderle. Capelli neri, ricci, truccata con discrezione. Si vede che ha cura di sé. Mentre parla cerca di spostare una borsa per la palestra (dice che ci andrà non appena finito il nostro incontro). Si veste con uno stile molto personale, usa stoffe e disegni tradizionali, trasformandone il taglio e i colori. Ha 33 anni, non è sposata, non così consueto in Kurdistan, dove, malgrado la legge turca permetta il matrimonio solo dopo il compimento dei 18 anni, ragazze perfino dodicenni sono costrette a sposarsi con persone molto più adulte. Era successo, quando aveva 15 anni, anche a Leyla Zana, dieci anni di carcere, simbolo per le donne curde di ribellarsi e praticare la propria libertà.

Mizgin dirige un associazione di donne che si occupa tra altro di aiutare le giovani e le donne a liberarsi da un sistema patriarcale che malgrado le battaglie condotte dai movimenti delle donne e dai partiti democratici curdi, è radicato non solo nei villaggi, ma anche nelle città dove i curdi sono stati costretti dalla repressione dell’esercito e della polizia curda a sfollare. Tra l’89 e il ‘99 sono più di 3.400 i villaggi cancellati e quattromilionicinquecentomila gli sfollati.

Mizgin dice molto chiaramente (come le algerine e le palestinesi), “noi lottiamo per la nostra libertà di popolo, qui in siamo in catene, hanno tentato in ogni modo di sopprimere la nostra identità, migliaia di villaggi rasi al suolo, milioni di sfollati e di profughi, la nostra lingua vietata in pubblico, ogni mattina a scuola si continua a giurare fedeltà ed a ringraziare di essere nati turchi, ma noi lottiamo per liberarci dal dominio nazionalista turco e allo stesso tempo dall’oppressione di una cultura che non si riesce a liberare di un sistema patriarcale, che ci vede sfruttate e relegate negli spazi privati, siamo femministe e la nostra lotta è comune con le femministe turche e le donne di tutto il mondo”. L’associazione, Selis, è composta da 65 donne, tra le fondatrici, nel 2002, donne ex-detenute politiche, che avevano passato anni della loro gioventù nelle prigioni turche per aver aderito al Pkk, il partito di Abdullah Ocalan, in totale isolamento da ormai 12 anni nel carcere di Imrali .

Mizgin, racconta che dopo la vittoria alle elezioni conseguita dai curdi che hanno avuto 36 parlamentari eletti, la repressione del governo Erdogan è caduta come una scure su tutte le persone attive nei movimenti “hanno arrestato sindaci, parlamentari, attivisti per i diritti umani, la nostra associazione è stata decimata, da 65 socie siamo adesso solo 32 le altre sono state arrestate, molte di loro senza nessun processo e capi di imputazione, altre invece con l’accusa di essere terroriste. Sono più di settemila i curdi arrestati dal 2009. Eppure il nostro lavoro è alla luce del sole, cerchiamo di educare le donne a credere in se stesse, a liberarsi dalla dipendenza economica e ad imparare un mestiere, a non accettare la violenza domestica o il matrimonio combinato, abbiamo dei centri per ospitare le donne che subiscono violenza e proteggerle, cerchiamo di renderle consapevoli del loro diritto alla salute, alla cultura, al lavoro. Il tasso di suicidi qui è di undici volte più alto di quello turco o della media internazionale. Nelle famiglie povere, la maggioranza tra i curdi, si manda a scuola il figlio maschio e non la ragazza. Abbiamo aperto laboratori di oreficeria, abiti, sciarpe, tappeti, ma è difficile trovare un mercato. Contiamo sulle nostre forze, non ci fermeranno, le nuove generazioni di donne hanno più coscienza dei loro diritti. Voi Europei siete quelli che parlate di diritti, ma ci lasciate soli, eppure ci sono migliaia di curdi in Europa che chiedono giustizia, non li sentite?”

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