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Mishelle di Sant’Oliva

Mishelle di Sant’Oliva

Cultura/ Teatro - Emma Dante, con la doppia punta della crudeltà e della tenerezza penetra nel sottoproletariato della sua terra, la Sicilia

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005

Mishelle di Sant’Oliva è l’ultima scheggia incandescente del teatro di Emma Dante, che con la doppia punta della crudeltà e della tenerezza penetra con grande efficacia nel sottoproletariato della sua terra, la Sicilia. Come in U’Palermu e Carnezzeria, ancora una volta la giovane autrice e regista con uno spettacolo senza veli scava all’interno di un ambito domestico gonfio di miseria e di sentimenti affermando la propria bravura e quella dei suoi attori.
Mishelle di Sant’Oliva, che richiama nel titolo il quartiere palermitano della prostituzione, si consuma in un clima fra il tragico e il grottesco dentro una scenografia con due sedie, due tende, due corde nodose scarrucolanti e due uomini: Gaetano, un anziano abbattuto dalla solitudine e dal rimpianto per la moglie morta, e il figlio Salvatore, un travestito avvezzo al marciapiede che invano tenta con affettuosa sollecitudine di accostarsi al padre, mosso da vergogna e ripugnanza nei suoi confronti. I due discutono, alternando ai dialoghi concitati lunghi intermezzi di silenzi imbarazzati, carichi di incomprensione e senza varchi di intesa. Nel loro contrasto, alimentato dalla violenza repressa, da risentimento e dalla frustrazione, si aggira l’ombra della madre, che in gioventù aveva abbandonato marito e figlio piccolo per andare a Parigi a fare la ballerina, in realtà per finire sotto un lampione.
Salvatore è consapevole dell’esistenza condotta dalla madre e al suo ricordo si accosta con distacco: Gaetano invece, per sopravvivere, evoca la “sua signora” adorata e perfetta come un angelo. “Sei sempre stato cattivo, papà, sentimentale e cattivo” gli rinfaccia il ragazzo, che in un estremo tentativo di stabilire un contatto e di affermare la propria identità, si abbandona ad una identificazione grottesca con il fantasma della donna, richiamando i gesti della prostituzione con atteggiamenti, balletti, canzoni. E il piccolo miracolo si compie: l’anziano ravvisa in questi accenni l’ombra vagheggiata e si commuove. Il muro di indifferenza vacilla e l’incomprensione fra i due si scioglie nell’abbraccio dei due corpi esausti, madidi e sfatti che chiude l’episodio. Il pregio di questo lavoro è la progressione dell’azione sorretta dalla mimica dei due attori, pieni di scatti e di fremiti. Se non risulta perfetta la comprensione del dialogo in siciliano stretto, compensano l’impeto della gestualità, le espressioni, l’intensità dei silenzi, i balletti paradossali e tragici, gli inauditi spogliarelli. Emma Dante assolve con grande perizia l’impegno di asserire le sue verità con un teatro franco e senza orpelli e disegna una portentosa, barocca caricatura, che finisce stemperandosi in un tracciato lineare e rigoroso di squallore e grandezza famigliare.
Grandiosi i due interpreti: Giorgio Li Bassi, che assegna al padre una straordinaria, ruvida tenerezza e il figlio, Francesco Guida, illumina con lampi di sensibilità il personaggio trepido e sgangherato del figlio. Dalle viscere dei rispettivi personaggi, destreggiandosi fra il sublime e una banalità ciabattona, hanno tratto momenti di poesia commovente.

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