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Miracolo che ritarda

Miracolo che ritarda

25 aprile/ Festa della liberazione - In questi giorni, ventotto anni fa, il grande scrittore italiano scriveva sul Corriere della Sera

Italo Calvino Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2005

Brutto 25 aprile, questo del '77. Non abbiamo da rallegrarci molto, se ci guardiamo oggi con gli occhi di quel giorno di trentadue anni fa. Un discorso di celebrazione consolatoria non credo che abbia voglia di farlo nessuno. E prediche e geremiadi lasciano il tempo che trovano. Eppure mai come oggi, si direbbe, si è sentita nel Paese una maturazione politica così estesa, una somma di preoccupazioni così condivise, una responsabilità con fondamenta così solide. Ma constatarlo è una nuova amarezza, perché ci mostra subito come tutto questo serva a poco, di fronte al circolo infernale delle irresponsabilità: l'irresponsabilità come metodo di governo, che lascia incancrenirsi i problemi, l'irresponsabilità come metodo di lotta che può attecchire solo nel terreno condizionato dalla prima.
Certo, basterebbe un segno di cambiamento di clima e molte delle difficoltà sarebbero superate, uno slancio sul piano delle intenzioni smuoverebbe già molti ostacoli che sembrano insormontabili, e si ridarebbe attualità a quello che il 25 aprile significa: il concorso di forze politiche molto diverse, che ha permesso di dare a un Paese prostrato e semidistrutto, dopo vent'anni di vita politica irregimentata, dopo venti mesi di occupazione tedesca, una sua fisionomia morale e civile che gli ha fatto superare l'occupazione alleata e riprendere il suo posto come nazione. Un assetto che ha continuato a reggere e funzionare, caso unico, si può dire, tra i Paesi che hanno fatto da campo di battaglia durante la seconda guerra mondiale, e che tutti subirono lacerazioni più gravi delle nostre, nel territorio o nel succedersi di regimi diversi durante questo trentennio.
D'ogni intesa politica, temporanea o duratura che sia, quello che conta è il clima, cioè le energie morali che mette in moto. Dalla gravità della situazione economica e politica attuale può (o dobbiamo già dire: poteva?) rinascere un miracolo che è ben congeniale al temperamento italiano. Ma già la tecnica dei temporeggiamenti e dei passi indietro e delle riserve che è nella prassi del partito che ci governa sembra fatta apposta per togliere ai fatti ogni carica, per attutire ogni rilievo: cosicché anche se qualcosa di nuovo avverrà, imposto dalle circostanze, sarà sempre già in arretrato rispetto ai tempi e si farà in modo che significhi il meno possibile.
Un rinnovato patto costituzionale ha senso se nasce con una spinta tale da ridare a vastissimi strati della popolazione il senso di contare sull'assetto del Paese, di essere loro che danno un volto al Paese, con le loro scelte, i loro sacrifici, le loro soddisfazioni. Così il 25 aprile, con quello che lo ha preceduto e quello che lo ha seguito, ha dato questo senso alla Repubblica e alla Costituzione. È a questo respiro storico che dobbiamo confrontarci: il momento non è da meno e per respiro storico intendo non la presenza di grandi personaggi ma un'attiva partecipazione popolare.
Giorni fa abbiamo visto sul video immagini e personaggi della liberazione di Milano. Molti momenti ci hanno appassionato, ma non dimentichiamo che la Liberazione è stato un avvenimento sconvolgente nella vita della gente comune; se le vicende dei protagonisti ci emozionano è perché esse riflettono ore decisive nelle vite di tutti. La Storia che la esse maiuscola che il video ha rievocato rappresentava qualcosa che in piccolo si svolgeva in ogni quartiere e villaggio. Siamo in un momento di sospensione che può essere molto propizio o disastroso. Siamo un po' tutti col fiato sospeso.
Io non sono uno che ha mai amato le commemorazioni. Eppure l'altro ieri ero particolarmente contento di trovarmi in un paesino di montagna dove si metteva una lapide per due partigiani caduti che non l'avevano ancora avuta. Era una cerimonia senza musica né bandiere, pochi compagni quasi tutti dello stesso reparto, che si erano dati la voce; uno che ora insegna in un istituto tecnico aveva portato la sua classe. Le cose vere erano ancora tutte lì: il pudore della retorica, che caratterizza i veri partigiani; il senso di come è difficile far capire agli altri l'importanza di quella esperienza per noi e per tutti, senza apparire noiosi; e poi, dato che i morti che ricordavamo erano ragazzi pieni di allegria, le storie che ci veniva da ricordare di quei tempi terribili e sanguinosi erano piene di allegria anche quelle.
C'è una faccia dell'Italia migliore, che non fa tanto parlare di sé ma che continua a fare sempre qualcosa di serio per gli altri con disinteresse e passione. Mi capita di incontrarla quando mi ritrovo in ambienti legati alla Resistenza, ma con questo non voglio affatto dire che tutti gli ex resistenti siano così, né che siano così solo loro: ci mancherebbe altro. Voglio solo dire che un'Italia così esiste e che può contare molto. O anche che può non contare niente, a seconda dei casi. (25 aprile 1977)

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