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Minima fortuna di massimi talenti

Minima fortuna di massimi talenti

Intervista a Piera Mattei - "Non ha senso parlare di poesia femminile, così come non parliamo di poesia maschile. La poesia è o non è"

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2006

Continuiamo il dibattito sulla poesia scritta da donne nel Novecento ascoltando una voce di donna da anni impegnata nel dibattito culturale con un’attenzione particolare alla poesia straniera e anglofona. Piera Mattei si occupa di letteratura come autrice, traduttrice e critico ed è coredattrice della rivista di poesia "Pagine". Ha pubblicato in poesia "La Finestra di Simenon" (Zone Editrice1999) e "Campione di pelle" (Mazzoli 2001), i libri di racconti "Umori regali"(Manni 2001) e "Nord" (Manni 2004) e un libro su letteratura e viaggi "Dalle Città e dai Libri"(Manni 2002). Ha curato traduzioni di poesie di Emily Dickinson ed Emily Brontë.

Secondo Lei esiste la categoria letteraria di poesia femminile? E se si, quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono? C’è una peculiarità di temi affrontati?
Sarei portata a rispondere: no. Non ha senso parlare di poesia femminile, così come non parliamo di poesia maschile. La poesia è o non è. Del resto, nella mia esperienza personale, pur avendo trascorsi di militanza femminista, non ho mai creduto nel "separatismo"e da anni collaboro, come coredattrice della rivista "Pagine", col poeta-direttore Vincenzo Anania. Tuttavia – è ovvio – i temi della poesia scritta da donne riflettono le loro "femminili" esperienze. Una poesia ha sempre le sue radici nella sensibilità, nei sensi, nello sguardo. Ha quindi una sua particolare prospettiva. Devo ammettere che, per quanto mi riguarda, critici e lettori mi fanno notare che spesso, nei mie racconti, mi sposto nell'ottica maschile. E' vero, lo constato anch'io. Lo trovo agevole per riuscire a raccontare il femminile al di fuori degli schemi della liricità, o per riflettere (con punte d'ironia) sulle intenzioni e direzioni dello sguardo maschile. In poesia questo non può accadere. Non mi accade certo di mettermi nell'ottica maschile quando scrivo poesia. Che si scriva in prima o in terza persona, se scrive una donna, in poesia la voce è sempre quella di una donna. Ma, lo ripeto, questo non significa che poi gli esiti poetici debbano essere analizzati e valutati nell'ambito di una poesia femminile.

Qual è lo stato di salute della poesia scritta da donne, soprattutto facendo riferimento alle ultime generazioni? Riscontra una discriminazione rispetto ai colleghi uomini in termini di minori opportunità editoriali e scarsa considerazione critica?
La "fortuna" delle donne in poesia è minima, quasi irrilevante, e corrisponde, senza differenze sostanziali, agli scarsi riconoscimenti, non solo in ogni campo della cultura e dell'arte, ma anche della fisica, dell'architettura, della politica...Questo rimane forse il più grande e complesso"mistero" della nostra civiltà democratica. Nessun critico oggi, nessun uomo sottoscriverebbe l'idea di un'incapacità delle donne a fare buona poesia. Ma se dalle riviste, dove la presenza delle donne non è discriminata, passiamo alle antologie e alle storie letterarie, il gruppo si riduce fino a diventare sparuto. Un po' come avviene per le scienziate...Forse sono solo due le "indiscusse" del Novecento italiano: Pozzi e Rosselli. E' pigrizia, è indifferenza?

Se dovesse proporre un canone al femminile del Novecento che nomi farebbe?
Intanto vorrei chiarire: spero che canone non significhi, come pure indica il termine, gli autori maggiori di un genere minore, perchè su questo, pur avendo già risposto, mi sentirei d'insistere: la poesia femminile non può essere considerata come genere. Esistono donne che scrivono poesia, e in quella travasano, necessariamente, le loro personalità ed esperienze. Ce ne sono che seguono una maniera, non nego, così come abbiamo poeti manieristi.
Se invece canone sta a indicare gli autori di riferimento personale, i miei sono classici e contemporanei, italiani e stranieri, donne e uomini. Alcuni tra i classici fanno ormai parte del mio DNA e della mia memoria profonda. Ricorderò – ne sono certa – le loro strofe quando sarò – chissamai – una smemorata; ed è sempre poesia di uomini. Invece i contemporanei/e che apprezzo, leggo, traduco e recensisco sono spesso donne. Ho una discreta attività di traduttrice di poesia soprattutto americana (ma anche inglese e francese ) e accanto ai grandi nomi della Dickinson e della Brontë scopro e presento su "Pagine" quelli di Ellen Bryant Voigt, Debora Greger, Louise Gluck... tutte voci originalissime.
Quanto alla mia attività critica rispetto alla poesia delle nostre contemporanee italiane, non è un caso ma una scelta che molto di recente abbia scritto di Lea Canducci e di Lucetta Frisa su "Pagine", di Giulia Perroni su "Leggendaria".
Un pronostico su chi riuscirà a entrare, e restare, nelle antologie e nelle storie letterarie? Non me la sento di fare nomi. Prevedo tuttavia che le donne saranno ancora scandalosamente e misteriosamente poche, incomparabilmente poche rispetto alla loro presenza, al loro impegno, alla loro vis poetica. I nomi delle più, caduti, perduti nel tragitto dalla rivista al volume rilegato.



Lamentazioni

1. Logos


Erano entrambi immobili,
la donna con poca vita, l'uomo
avvinghiato al corpo di lei.

Dio li stava guardando.
Sentirono il suo occhio d'oro
produrre un getto di fiori all'intorno.

Chi sapeva cosa lui volesse?
Lui era dio, e terrifico.
Perciò attesero. E il mondo
fu colmo del suo irraggiarsi
come desiderasse essere compreso.

Lontano, nel vuoto che aveva formato,
lui si rivolse agli angeli.


(8/8/2006)

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