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Mille volti femminili di Ferzan Ozpetek

Mille volti femminili di Ferzan Ozpetek

A tutto schermo - Si ride e si piange con ‘Allacciate le cinture’, il nuovo film del bravo regista turco

Colla Elisabetta Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

Forse non nella sua vena più ispirata ma con molte pennellate dallo stile inconfondibile, torna Ferzan Ozpetek - autore amatissimo dal pubblico italiano per film come Le fate ignoranti, Il bagno turco e Saturno contro, per citare alcuni fra i suoi maggiori successi - con una nuova pellicola dal titolo Allacciate le Cinture, una storia sospesa come di consueto fra commedia e tragedia, che ripropone molti dei temi cari al regista turco: la complessità delle relazioni umane, l’importanza di seguire le proprie passioni, l’inevitabilità dell’amore al di là delle convenzioni sociali e di genere, la centralità delle donne in ogni aspetto della vita e la forza dell’amicizia, tutti elementi essenziali nel grande circo dell’esistenza, effimero passaggio da godere al meglio finché il destino, la malattia o la morte non ci sorprendano all’improvviso. “Sono sempre stato affascinato dall’elemento temporale - afferma Ozpetek - e nel film si passa da un periodo all’altro della vita dei protagonisti, nell’arco di 13 anni. Abbiamo fermato le riprese per un mese, in modo da permettere agli attori di mutare il loro fisico e dare l’impressione del tempo trascorso”.



Iniziata nel 2000, infatti, in una Lecce barocca dalla magnifica luce dorata (l’Apulia Film Commission, ha finanziato il film per 350mila euro), la narrazione si svolge dapprima in un clima gioioso di spensieratezza, sentimenti giovanili e progetti per il futuro. La protagonista, Elena, un’intensa Kasia Smutniak in un ruolo non facile che la consacra alla maturità attoriale, frequenta il facoltoso Giorgio (Francesco Scianna) e lavora in un locale del centro di Lecce insieme a Fabio, il giovane amico e collega gay (si conferma la spontaneità del talento di Filippo Scicchitano), e a Silvia, una disinibita e caotica Carolina Crescentini: i tre sognano di aprire un locale tutto loro fino all’incontro di Elena con l’homme fatal, Antonio, (interpretato da uno statuario ma inespressivo Francesco Arca, forse la nota più dolente del film), meccanico virile e un po’ omofobo, del quale contro ogni logica Elena s’innamora fino a sposarlo. L’amore non si cura delle diversità, almeno in una prima fase, sembra dire il regista, ma quando la scena si sposta al 2013 per un nuovo capitolo nella vita dei nostri protagonisti, ritroviamo Elena madre di due figli, imprenditrice di una catena di locali, in piena crisi coniugale, che scopre casualmente di avere un cancro al seno ed inizia a combattere la malattia con ciò che ne consegue (ospedale, chemioterapia, medici), fino a nuove evoluzioni della trama, in parte prevedibili in parte inattese.



Vero cuore del racconto, oltre alla circolarità del tempo (il film si chiude con un’altra ‘incursione’ nel 2000), sono però i personaggi comprimari femminili, che aggiungono sapore e leggerezza alla storia, grazie anche alla bravura e simpatia delle attrici: l’impagabile coppia mamma-zia di Elena, la prima ironica e brillante (Carla Signoris) la seconda imprevedibile eun po’ matta (Elena Sofia Ricci), la studentessa di medicina poi dottoressa (Giulia Michelini), l’enfatica ma verace parrucchiera/amante (Luisa Ranieri), la vitalissima malata di tumore (Paola Minaccioni).”Nell’arco della vita, arriva sempre un momento in cui è necessario allacciarsi le cinture - conclude il regista -. Ho giocato su tutto quello che può capitare in un’esistenza, concentrandomi sui sentimenti più forti, l’amore e l’amicizia, ai quali, spesso, si aggiunge la solidarietà”. Ozpetek, che torna a realizzare una sceneggiatura a quattro mani con Gianni Romoli, si accosta con decisione e sapienza alle atmosfere registiche di Almodovar, come nella prima lunga sequenza della pioggia sul marciapiede o nella scena in cui Elena annuncia alla famiglia riunita la sua malattia. Sui titoli di coda, un vero tocco da maestro: le note della canzone A mano a mano di Riccardo Cocciante, nella rara interpretazione di Rino Gaetano. 




La scelta di Ida



 Pawel Pawlikowski costruisce due magnifici personaggi femminili nel film ‘Ida’. Un bianco e nero plumbeo e rarefatto accompagna la rievocazione storica, le vicende e la psicologia dei protagonisti di Ida, ultima pellicola del regista polacco Pawel Pawlikowski - radicato in Inghilterra - autore attento ed abile come pochi nel descrivere il mondo femminile (già nei suoi film precedenti, My summer of love e Last resort) e delinearne grazia e contraddizioni. Nella Polonia dei primi anni Sessanta, ancora in pieno regime comunista, Anna, una giovane orfana abbandonata in convento alla fine della Seconda Guerra mondiale, poco prima di prendere i voti scopre di avere una zia, Wanda, sorella della madre. La necessità, se non il desiderio, di conoscere la sua unica parente, spinge la ragazza nel mondo esterno, a lei del tutto ignoto. La zia, una magistrata autonoma, cinica e semi-alcolizzata, ex-combattente nella Resistenza antinazista e militante di Partito, responsabile delle condanne a morte di numerosi prelati e religiosi, che nasconde segreti ed una grande sofferenza, rivela ad Anna le sue origini ebraiche ed il suo vero nome: Ida Lebenstein. Le due diversissime donne intraprendono un viaggio alla ricerca della tomba o delle spoglie dei genitori di Ida, scomparsi in circostanze misteriose alla fine della guerra. Fra emozioni sopite, dure rivelazioni ed incontri conturbanti (come quello col giovane e bel sassofonista jazz), Anna/Ida, che non sembra in apparenza mai davvero toccata da nulla, sperimenterà altri possibili modi di vivere prima di fare la sua scelta definitiva. Identità, colpa, peccato, scelte, dolore, fede, i grandi temi del film, affidato a due interpreti femminili straordinarie, Agata Kulesza, nel ruolo della zia e Agata Trzebuchowska in quello di Ida.

 









 

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