Camici verdi - Sono 273 le donne iscritte alla Società italiana di chirurgia, solo cinque sono Professore Ordinario nelle Università e nella chirurgia generale...
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007
La sala operatoria pare che non sia più solo “roba da uomini”, ma le donne, con una battaglia veramente dura, cominciano ad affermarsi in modo significativo anche in settori della medicina tradizionalmente maschili come ad esempio la chirurgia.
Spesso sono state costrette a tirar fuori le unghie per non farsi relegare in un angolo dalle discriminazioni di genere, ma con testardaggine hanno rotto gli argini permettendo all’onda rosa di avanzare e dimostrare che l’altra metà del cielo ha competenza e passione da vendere.
Non sono quindi destinate a specializzarsi solo in ginecologia o pediatria, considerate un prolungamento del lavoro di mamma!
La scalata ai ruoli apicali, però, si prospetta ancora particolarmente ardua se si pensa infatti che su 273 donne che esercitano la chirurgia generale iscritte alla Società italiana di chirurgia, solo cinque sono Professore Ordinario nelle Università.
Se prendiamo in esame tutto il pianeta delle donne chirurgo e non solo la.
Molto spesso le competenze acquisite con anni di esperienza anche all’estero, spaventano i colleghi, contrariamente a quanto avviene nel mondo anglosassone e quindi si ingenerano delle forti discriminazioni.
Queste, trasformano lo sviluppo professionale in un vero percorso a ostacoli e spesso, molte professioniste battono in ritirata.
Altri ostacoli si creano con l’assenza dal lavoro per maternità, che rimane un problema anche per le dottoresse, perché è poco accettata dai colleghi maschi e soprattutto al rientro, devono farsi valere con forza per riappropriarsi dei loro posti.
E’ opinione diffusa tra molte delle dottoresse, acquisire un’altissima professionalità e avere il coraggio di denunciare le discriminazioni anche attraverso i Comitati Pari Opportunità delle Aziende Ospedaliere e Universitarie che dovrebbero essere istituiti per legge.
Conciliare la professione con quella di mamma è sempre impegnativo, ma con quella di chirurgo è ancora più difficile perché, ad esempio, quando entri in sala operatoria non sai quando esci.
Quindi la parola d’ordine è “Organizzarsi”…come succede a tutte le altre mamme lavoratrici!
Nemmeno dal punto di vista fisico ci sono controindicazioni per esercitare la professione di chirurgo.
La maternità crea delle grosse difficoltà, non solo di conciliazione, ma soprattutto di mantenimento dell’incarico, per le dottoresse precarie, con contratti libero professionali o simili.
Molto spesso sono costrette a dimettersi appena comunicano lo stato di gravidanza, con la promessa verbale di riavere l’incarico al rientro.
Si è riscontrata in più occasioni la mancata conoscenza dei propri diritti da parte delle professioniste, ma la cosa più grave è il silenzio e l’accettazione di queste situazioni per la paura di perdere quella piccola opportunità.
Credo che le figure istituzionali preposte alle funzioni di tutela antidiscriminatoria, debbano operare sempre più incisivamente di concerto con i Comitati Pari Opportunità per abbattere l’individualismo che, purtroppo, si è creato in questi ultimi anni. L’obiettivo della società in generale, deve essere quello di consentire alle persone la libertà di scegliere senza nessun condizionamento, nel rispetto delle regole e delle leggi.
(15 febbraio 2007)
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