Michela Zanarella, Recupero dell'essenziale: libro del mondo
Fa bene Dante Maffia, nella prefazione al libro di Michela Zanarella dal titolo Recupero dell’essenziale, INTERNOLIBRI, 2022, a chiedersi che cosa mai sia l’essenziale e fa bene a domandarselo anche il lettore. Ma è Michela stessa a rispondere.
Giovedi, 21/04/2022 - “Il sole si fa guardare da chiunque / ma pochi sanno quanto buio ha dovuto attraversare / prima di splendere”
Michela Zanarella, Recupero dell’essenziale: libro del mondo
Fa bene Dante Maffia, nella prefazione al libro di Michela Zanarella dal titolo Recupero dell’essenziale, INTERNOLIBRI, 2022, a chiedersi che cosa mai sia l’essenziale e fa bene a domandarselo anche il lettore. Ma è Michela stessa a rispondere: è ciò che resta, in spirito e materia, del baluginare eterno delle cose: Cosa resta di un’estate ormai finita / il corpo del mare visto di sfuggita / la memoria di un sole che non si è mai arreso / e l’asprezza delle cose inattese (Cosa resta di un’estate, p. 15). È soprattutto memoria: memoria delle stelle, memoria del crepuscolo, dell’infanzia.
Libro del mondo, questo di Michela, tutto vi è presente: le stagioni, l’autunno con la ruggine degli alberi e le foglie accartocciate - sullo sfondo di una natura viva e presente, che accompagna nel cammino -, la notte, alla quale chiedere riparo, la luna, le stelle, il sole. Perché questo ostinarsi di Michela a dialogare col sole più volte evocato: io amavo ancora stare in dialogo col sole tra i ciliegi (Entrammo nella città perduta, p. 23)? Guarda caso i ciliegi…Ma perché il sole è soprattutto luce, vedremo più avanti! Il sole varia la sua voce a seconda della luce, dà ritmo e vigore alla vita, ne dà il tempo, ma non abbaglia. Puntare il cuore dritto al sole / come se fosse la rotta di una meta sicura, è il suo motto, ma è la rotta di una meta sicura! E non dimentichiamo il titolo di una raccolta di Michela, La filosofia del sole, 2020…Nell’alternarsi di cielo e terra, di buio e luce, nel dare per scontata la materialità pesante del corpo, c’è l’universo a fare da contraccolpo, in un anelito di spiritualità ineludibile.
Romantica? No, quella che la poetessa ci propone è vita piena, vissuta con la partecipazione di tutti i sensi, alla ricerca di una gioia intima e taciturna che sia riscatto. Riscatto a una sofferenza, a un dolore (parole che ricorrono spessissimo, assieme ad aggettivi come ferito) che, sotterranei a tutta la raccolta, restano in sordina, mai urlati. Perché è in agguato il tempo, che, alla sprovvista, sconquassa, imbroglia, disorienta e tutto muta in men che non si dica, lasciandoci increduli. Eppure Michela spera, ci incita ad avere fiducia nel cielo, è attratta dalla luce (anche sole, pensiero di luce espresso sottovoce, ecc., p. 19 e una sosta al sole che ha un che di rifugio, p. 65, alba, aurora, splendore, ecc.), luce di cui bisogna fidarsi perché ritorna, luce che è rinascita, ripresa, nido. Anzi, la luce è un ciliegio / che non smette mai di fiorire / se fosse facile capire che il buio / è un preludio di albe dismesse (Ci sono notti, p. 18). Sempre e comunque tutto verrà, tornerà e questo concetto si riallaccia alla natura di cui Michela non può fare a meno. Mi soffermerei su questa metafora del ciliegio. La ciliegia è il simbolo della vocazione guerriera del Samurai giapponese e del destino al quale deve prepararsi: rompere la polpa rossa della ciliegia per raggiungere il nocciolo duro o, in altri termini, fare il sacrificio del sangue (Michela: ho bisogno di denudare il sangue alla luce, p. 22) e della carne, per arrivare alla pietra angolare della persona umana. (I Samurai) avevano preso per emblema il fiore di ciliegio rivolto verso il sol levante, simbolo della devozione delle loro vite. La custodia delle sciabole era ornata di ciliegie, un altro simbolo della ricerca dell’Invisibile attraverso la via interiore, il Vitriol delle iniziazioni occidentali (J. Servier, L’homme et l’invisible, Paris, 1964). V.I.T.R.I.O.L sono le iniziali di una formula celebre tra gli alchimisti e che condensava la loro dottrina: Visita interiorem terrae rectificando invenies operae lapidem, cioè Scendi nelle viscere della terra, distillando troverai la pietra dell’opera. Queste iniziali hanno formato una parola iniziatica, che esprime la legge di un processo di trasformazione, che riguarda il ritorno dell’essere al nucleo più intimo della persona umana…che significa: Scendi nel più profondo di te stesso e trova il nucleo perenne, sul quale potrai costruire un’altra personalità, un uomo nuovo (J. Servier, L’homme et l’invisible, Paris, 1964). È ciò che Michela cerca e che prende corpo in questa raccolta.
Il libro si basa tutta su bilanciamenti quali notte-giorno, vicino-lontano, ombra-luce, chiaro-scuro, terra-cielo, rumore-silenzio, dormire-vegliare, ecc. Ecco occorre tenere bene a mente che per Michela che sta qui sulla terra con i piedi ben piantati, il cielo e gli astri tutti, il firmamento, sono necessari e sempre presenti. Ecco la frase centrale: gli alberi parlano la stessa lingua delle stelle (La notte ha una maternità luminosa, p. 32). L’albero, con le sue radici verso il basso e la sua chioma verso l’alto, è proprio il tramite tra il giù e il su, tra la terra e il cielo: la terra e le nuvole sono la nostra casa (La terra così come le nuvole, p. 33). Il bisogno di spiritualità, non troppo lontano in fondo, di un ordine discreto, di eternità, di infinito - la luce intesa anche in questo senso -, è evidente: dobbiamo prestare ascolto ai segni del cielo (p. 34) e abbiam bisogno dello stato di luce (p. 35). L’eternità - quell’oltre qualcosa che avevamo dimenticato - non è poi davvero lontana, fa parte del nostro mondo, scende quaggiù a risanarci: e noi a stupirci per una luna decisa / a escogitare un lancio di luce nella piazza: / l’eternità ebbe il consenso dell’estate (Non aveva fretta il cielo di Tuscania, p. 70). È di tutti i giorni: ma dovremmo abituarci a portare nella voce una preghiera.
Concludo accennando alla metafora della neve, legata all’infinito: Sotto il cielo d’inverno / pensavamo a cosa fa la neve quando cade / sembra una lieve eternità stesa sui prati / e quando scompare la terra ha come un sussulto / ha quasi creduto di stare alla pari del cielo / che già nelle stelle aveva stretto un sogno di candore (Sotto il cielo d’inverno, p. 81). Quanti elementi su cui riflettere! La neve è paragonata all’eternità che si diffonde per tutta la realtà, la terra, coprendola, permeandola con il suo biancore. E la terra, quando la neve si dissolve, cioè noi esseri umani abbiamo paura di perderla, questa benedetta eternità che però RITORNA, come ritorna la neve che anche dissolta va comunque ad alimentare la terra. Sì, nessun timore, rivaleggiamo pure con il cielo e custodiamo il candore bianco dei bambini. Neve di ieri che narra e conserva la memoria dell’infanzia, neve di oggi, neve di domani.
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