Memoria - Un film (quasi) ritratto di Lidia Menapace girato per evitare che si 'smarrisca la memoria di ciò che successe'
Monica Lanfranco Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
Non ci potrebbero essere persone così diverse, come me e il regista Pietro Orsatti: eppure la stessa rabbia ci ha colto quando, all’edizione serale del telegiornale, il post fascista Ignazio La Russa ha auspicato, con il tatto raffinato che lo contraddistingue, che l’onorevole Lidia Menapace se ne stesse a casa a occuparsi dei nipotini, invece che di Difesa. Era giugno, faceva già troppo caldo, e quelle frasi non migliorarono l’umore.
Una telefonata di Pietro, da Roma a Genova: “hai sentito cosa ha detto su Lidia?” mi chiede, e il progetto ‘film su Lidia’, come è stato poi definito nel lessico familiare che si è creato nel gruppo di produzione, è partito. Contattiamo la neoeletta senatrice Lidia, e nei suoi primi giorni di vacanza dopo la sua entrata a Palazzo Madama eccoci in viaggio. Due auto: da Genova io parto con mio figlio Anteo, sedicenne; Pietro da Modena con Sonia Lattanzi, incipiente gravidanza, e Maura Pazzi, con il figlio di dodici anni al seguito. La troupe si incontra dopo centinaia di chilometri a Pordenone, imbarca Lidia che è ad una iniziativa di Beati costruttori di pace, e via verso Cles, provincia di Trento, con una spesona di verdure, formaggi e frutta fresca. La telecamera è già accesa in auto, il viaggio materiale in salita verso le montagne è l’anticipo del viaggio virtuale che la memoria di Lidia sgrana attraverso la sua storia privata: quella dei suoi genitori, dei suoi amori e del suo ‘matrimonio senza obbligo di convivenza’ con il medico trentino Nene, scomparso due anni fa, e quella sociale e politica.
La scelta nonviolenta nel movimento della Resistenza, il ’68, la fondazione del Manifesto, il femminismo, le riflessioni sul difficile presente, la gabbia dorata, così la definisce sin dai suoi primi reportage nella lista di discussione Lisistrata, del Parlamento.
I set del film sono la grande casa di Cles, il suo giardino ventoso e le sue montagne tutte intorno, e la casa di Bolzano, dove Lidia apre i cassetti e gli album di foto. Nelle pause delle riprese si prepara da mangiare, si fanno passeggiate, si guarda la tv. Dopo il primo giorno noi del gruppo ad una certa ora della notte crolliamo, Lidia tira le tre di mattina e ci mette a letto, fresca come una rosa.
Ce lo sogniamo, nel caso si arrivi a ottanta anni, di essere così tonici. Questo è certo.
Davanti alla foto, in disordine, come per caso, ci troviamo di fronte alla grande storia del secolo appena alle spalle, e si resta senza fiato: il Cremlino, Bob Kennedy che riceve la delegazione di amministratori e amministratrici, tra cui Lidia spicca in civettuole mises con cappellini impeccabili e guanti bianchi, diversi partigiani oggi scomparsi, istantanee di Castellina, Ingrao, Rossanda, riunioni di quella che è stata la redazione più ‘fosforescente’, più carica di fosforo e di intelligenza dell’Italia del dopoguerra, come la stampa nordamericana definì quella del Manifesto.
“Quando ero molto giovane, appena finita la seconda guerra mondiale e la resistenza, guardavo con ipocrita generosità alle “vecchie” quarantenni, dalle quali mi separava, in quanto generazione, un abisso - ama raccontare Lidia -: erano per lo più donne tradizionali che durante la guerra, se non avevano preso coscienza di sé, erano state vissute dagli eventi in modo passivo, triste, doloroso con grandi sacrifici e grandi capacità di reagire alle vicende che mi pareva essere stata sempre tipica delle donne.
Mi trovo a ripercorrere la mai vita come se fosse una “fonte storica” e mi accorgo quanto la arricchiscono le domande delle giovani, la loro curiosità affettuosa rispettosa e calma. Penso che le relazioni sono molto costruite sui contesti. Vorrei trasmettere questo evento decisivo, perché può risuccedere, se lasciamo che si smarrisca la memoria di ciò che successe: senza memoria non si costruisce storia e si è in una specie di coazione a ripetere, naturalmente dei ruoli”.
Negli anni ’70 ci fu uno dei momenti più tragici per il nostro paese, nel quale un manipolo di uomini, e qualche donna, tenne in scacco la democrazia: le Brigate Rosse e altre formazioni di ‘comunisti’ combattenti, che una volta in galera si dichiaravano ‘prigionieri politici’.
Abbiamo voluto rivoltare come un calzino quella feroce affermazione, e prenderne la parte solare: vogliamo dichiararci politici sì, eccome, ma nipoti, tutti e tutte, di questa straordinaria ‘antenata’, che tanto ci ha insegnato e tanto ancora, con ironia e allegria, ci saprà regalare?
Per info e prenotazione del film monica.lanfranco@gmail.com
Per vedere il trailer del film www.monicalanfranco.it
(31 gennaio 2007)
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