Una donna curda si racconta. Da due anni in giro per il mondo a far firmare una petizione: ha girato tutt'Europa, solo negli U.S.A. non la fanno entrare.
Lunedi, 08/09/2014 - Mi chiamo Fatima e raccolgo firme per Ocalan
Una donna curda si racconta
Alla festa dell'Unità di Modena, Noi Donne ha uno stand nella zona dedicata alle associazioni.
Nella postazione alla nostra sinistra, quando arriviamo, c'è un gruppo di curdi ormai in Italia da quindici anni, perfettamente inseriti nel contesto sociale emiliano, tanto che si fatica perfino a rendersi conto che non sono italiani, ma abitanti mal tollerati di una terra, il Kurdistan, schiacciata fra Turchia, Siria, Irak e Iran, contesa a causa della ricchezza delle sue viscere.
Il loro più famoso rappresentante è Abdullah Ocalan, detto Apo, in un carcere turco dal 1999. Ci finì perché il partito di cui era il leader, il PKK (Kürdistan Isçi Partisi) fu dichiarato organizzazione terrorista dal governo turco e da diversi altri stati, fra i quali gli U.S.A. Esule dunque in giro per l'Europa senza che nessuno gli concedesse asilo politico, approdò in Italia dove inizialmente sembrò potesse essere accolto, mentre in breve fu consegnato alla Turchia, benché vi fosse ancora vigente la pena di morte (governo D'Alema) che fu abolita su pressioni internazionali nel 2002.
La Comunità Europea ha recentemente condannato la Turchia per le condizioni e la durata della carcerazione cui è sottoposto il leader, ma pare che a Istambul nessuno voglia prendere in considerazione la sentenza di Strasburgo.
Parallelamente i Curdi emigrati nel mondo occidentale negli ultimi due anni hanno raccolto decine di milioni di firme in calce a una petizione che ne chiede la liberazione.
Anche a me viene chiesto di firmare, ciò che immediatamente faccio perché vissi con grande disagio e vergogna la sua estradizione.
E' una donna, alta e magrissima. Indossa un abito luccicante lungo fino ai piedi, i capelli coperti da un foulard, una bocca sorridente che si apre su denti abbaglianti. Quando mi abborda, i suoi occhi brillano del fuoco della passione:
<<Mi chiamo Fatima e raccolgo firme per Ocalan. Tu sai chi Ocalan?>>
Sì, io so. Allora fa una pausa, si siede vicino a me e racconta:
<<Ho già raccolto 28.000 firme in un anno. Io ho un tumore allo stomaco (ndr una dichiarazione che ha con sé la dichiara affetta da adenocarcinoma gastrico, epatite b e c) ma da quando ho cominciato a raccogliere le firme la malattia mi è passata. Ho cinquantotto anni un marito e due figli.
Il grande è andato sulla montagna a fare il guerriero, mai è tornato a casa, solo un giorno amici suoi hanno lasciato il suo corpo davanti la mia porta. Io sono uscita e l'ho trovato. Cadavere. Morti, capisci?
Così la figlia più piccola è andata in montagna al suo posto. Lei è stata ferita molto gravemente alla testa, per fortuna siamo state aiutate a venire in Europa e lei è stata curata in Austria, dove ha sposato un austriaco al quale ha dato due figli. Mio marito? Non so dov'è e non mi importa. Apo mi è figlio, fratello, padre e marito.>>
Ma lo hai incontrato, lo conosci personalmente?
<<Sì, l'ho visto una volta, tanti anni fa, ma non ho potuto parlargli. Era bello come il sole. Per noi curdi lui è così, una stella che illumina il nostro cammino e della quale non possiamo fare a meno. Ogni tanto dal suo carcere arrivano degli ordini. Noi eseguiamo. Lui ora ha detto, basta terrorismo, basta bombe, basta morti. Ce ne sono stati anche troppi. Ma Ocalan ha sofferto in carcere. Tanto, tantissimo, tu lo sai? Da quattordici anni vive in totale isolamento su un'isola piccola come un grano di sabbia in mezzo al mare. E' il nostro amore che lo tiene in vita, è lui che fa sentire noi un vero popolo.>>
Sono le forze kurde del Pkk a costituire il nucleo "dell’unica vera resistenza sul campo contro lo Stato islamico".
<<Io non chiedo la terra, non chiedo i diritti. Io solo chiedo Ocalan libero. Lui si occuperà di noi come ha sempre fatto, come nostro padre.>>
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