Era il 1978 e un gruppo di donne di diverse età, ceto sociale e formazione politica, aveva fondato a Cefalù una sezione dell’UDI, associazione che era collegata ai partiti di sinistra ma che a Cefalù si caratterizzava per la sua autonomia dai partiti, accogliendo donne di vario orientamento politico. C’era bisogno di un'idea per fare conoscere il Circolo in una realtà in cui ancora i temi "al femminile" non erano popolari e non si sapeva nemmeno cosa fosse l'8 Marzo. Così partì un'iniziativa che era più che altro una "provocazione in positivo", destinata a dare grande visibilità al Circolo richiamando l'attenzione, in una realtà difficile come quella siciliana, sull'argomento della parità tra i sessi, molto sentito in quegli anni in Italia: una richiesta di iscrizione al Circolo Unione. Quando presentammo la domanda ci fu risposto con una risatina ironica che per essere ammesse come socie avremmo dovuto cambiare sesso. Il Circolo infatti non ammetteva soci femminili. Anzi, poiché lo Statuto non era esplicito in proposito, i soci fondatori ebbero l'idea di modificarlo con una norma che escludeva con chiarezza le donne, le quali però sarebbero state "gradite ospiti" al seguito dei mariti:). Un manifesto indignato affisso da parte dell'UDI proprio davanti al Circolo fu notato dal sociologo prof. Domenico De Masi che lo trasmise all’Ansa. Immediatamente la notizia fu ripresa da tutte le più importanti testate giornalistiche. Oltre all'Ora,al Giornale di Sicilia e La Sicilia ne parlarono Paese Sera, il Corriere della Sera (articolo di Maurizio Chierici), La Repubblica (che mandò come "inviata speciale" a Cefalù la giornalista e scrittrice Anna Maria Mori), L'Espresso, L'Europeo (Gianfranco Venè), Il Manifesto, L'Unità, La Stampa, Stampa Sera, L'Avvenire, La Voce repubblicana. Il GR1 realizzò uno speciale di mezz'ora con interviste e commenti. L'episodio fu commentato in tutta Italia, terrorizzò tutti i circoli maschili italiani (ricordo in particolare le dichiarazioni preoccupate del direttore del Circolo del whist di Torino) ed ebbe strascichi di varia natura tra cui una denuncia nei confronti di una professoressa che aveva solidarizzato con le donne dell’UDI e aveva criticato i soci del Circolo definendoli "antiquati obelischi" (finita con l’assoluzione), alcuni episodi di vandalismo nei confronti dei locali dell’Associazione, l'invio di inquietanti lettere anonime alle socie, un acceso dibattito sull'argomento all'interno del Circolo e del Consiglio Comunale. La provocazione aveva colto nel segno e aveva suscitato un interesse destinato, anche spentisi i clamori mediatici, a influire nel contesto culturale cittadino. Il Circolo Unione, tra polemiche, dimissioni e dibattiti, finì col riconsiderare la propria posizione e col modernizzare lo Statuto aprendo alla presenza femminile "alla pari" e non come appendice dell’uomo.Il Circolo dell'UDI che ovviamente si occupava, oltre che delle questioni di principio, anche di importanti temi sociali, trasse impulso e popolarità da questo "spot pubblicitario" e intensificò la sua azione per i diritti delle donne, ottenendo nel tempo due importanti conquiste: gli asili nido e i consultori.
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