Sondaggio di gennaio - 'apprendere dalla storia non solo quello che fu, ma quel che sarà'
Rosa M. Amorevole Lunedi, 07/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011
Scriveva Cicerone: “la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità” e tale concetto pare radicato nella nostra cultura tant’è che tra i proverbi italiani ce n’è uno che recita: “bisogna apprendere dalla storia non solo quello che fu, ma quel che sarà”. “La storia comincia là dove finisce la memoria” scriveva un sociologo francese affermando che “la memoria collettiva è l’insieme dei ricordi mitizzata da una collettività vivente della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato”. Se la storia ha bisogno di ricostruire ordinatamente tutti i passaggi, la memoria agisce a salti tra passato e presente selezionando dall’uno e dall’altro elementi da ricordare. Per il 38% delle risposte, la memoria è storia e genera identità e appartenenza, attribuendo così alla storia i caratteri della propria memoria, ovvero trasferendo di peso alla storia la selettività, la nostalgia propri della memoria. Il 62% condivide quanto indicato anche nel proverbio citato: “nel passato le radici del futuro”. Ma quali avvenimenti della storia del passato rimangono impressi nella mente di chi ha voluto rispondere al quesito del mese? La Costituzione innanzitutto, e la Resistenza che l’ha originata, compreso il voto alle donne. Poi la storia dell’evoluzione del diritto all’autodeterminazione, come pietra miliare per il genere femminile. C’è anche chi si lamenta della carenza della scuola che non arriva mai a trattare pienamente la storia del XX secolo, lasciando privi di conoscenze importanti per capire anche il più recente passato e il nostro più vicino presente. Ma perché il nostro Paese non ha memoria? Perché non fa tesoro di ciò che la storia dovrebbe insegnare?
C’è chi lamenta come “non ci sia stata la capacità di mantenere vivi gli ideali; non si è saputa rinominare la realtà che stava cambiando; siamo stati capaci di mantenere viva solo una retorica senza contenuti forti” o che “la nostra è una democrazia 'acerba', che non ha ancora compiutamente elaborato il passaggio da una società contadina e povera ad una industriale e consumistica. La falsa ricchezza ci ha ubriacati e la sbornia ancora non passa”.
E la mancanza di memoria (o “la non conoscenza della storia vera”), fanno sì che “le scelte attuali siano manipolabili, appoggiate su credenze e favole metropolitane che favoriscono sempre il potere e chi lo ha”. O forse perché ci sono troppi “particolarismi che impediscono di capire la complessità ed i cambiamenti” o, più amaramente, perché “in Italia ci sono gli italiani...”.
Forse aveva ragione Corrado Alvaro quando scriveva che nel nostro Paese la storia è considerata “come una vicenda di buono e di cattivo tempo, di uragani e di sereni, ecco che cos'è la storia per un italiano. Per questo scetticismo della storia non si sono prodotti tanti tragici fenomeni in Italia, dove nulla è mai scontato interamente, dove tutti possono avere la loro parte di ragione, o dove tutti hanno torto, dove si ritrovano viventi i residui di tutte le catastrofi e di tutte le esperienze e di tutte le epoche. Ci sono ancora i guelfi, i neoguelfi, i separatisti, i federalisti, i sanfedisti, i baroni, i feudatari, ecc. Questi caratteri italiani sono l'origine delle più strane sorprese e delle più incredibili involuzioni.
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