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Medicina di genere: non rinunciamo all’appropriatezza delle cure!

Medicina di genere: non rinunciamo all’appropriatezza delle cure!

Gruppo PD Regione Emilia Romagna - "...noi donne viviamo sì più a lungo degli uomini ma spesso viviamo peggio, ci rechiamo dal medico più degli uomini ..."

Mori Roberta Mercoledi, 12/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2012

La consapevolezza scientifica e medica che uomini e donne sono colpiti dalle patologie in percentuali e fasi della vita differenti e rispondono ai farmaci in modo diverso, è piuttosto recente. La prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale al 2002 quando, presso la Columbia University di New York, fu istituito il primo corso di medicina di genere, “A new approach to health care based on insights into biological differences between women and men”, per lo studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i sessi. In seguito agli esiti dei primi studi l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la medicina di genere nell'Equity Act, a riprova che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere. Nel 2005 è nato in Italia Onda - Osservatorio nazionale sulla salute della donna - che collabora con gli altri istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare ad una grande attenzione su queste tematiche.
Tra le evidenze che più ci riguardano, noi donne viviamo sì più a lungo degli uomini ma spesso viviamo peggio, ci rechiamo dal medico più degli uomini (il 58% delle visite ambulatoriali è per una donna), nella maggior parte dei casi per affrontare patologie non tipicamente femminili. Alcuni esempi di incidenza: osteoporosi +736% rispetto agli uomini, malattie tiroidee +500%, depressione e ansietà +138%, cefalea ed emicrania +123 per cento, Alzheimer +100%, cataratta +80%, artrosi e artrite +49%. È accertato che alle necessarie azioni di screening e cura delle tradizionali “patologie di genere” legate all’apparato riproduttivo, si devono aggiungere interventi specifici che affrontino gli effetti “di genere” delle patologie comuni.

Uno dei principali ostacoli sta nel fatto che i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e ricerche farmacologiche risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili, in particolare il ruolo degli ormoni. Ciò vale come ovvio anche in Emilia-Romagna, dove permangono come altrove stereotipi, pregiudizi, una cultura e un’organizzazione prettamente maschili, competitive e conservative, all’interno delle strutture sanitarie e del corpo medico, pur a fronte di una costante crescita di donne tra i medici (ora circa il 50%) e tra gli altri operatori della sanità. La nostra Regione è all’avanguardia sulle azioni di prevenzione oncologica, che non hanno paragoni nel Paese, tanto che l’estensione, per fasce d’età, dello screening per il tumore alla mammella supera il 70% e sono stati avviati percorsi dedicati che dall’esito dello screening conducono fino alla riabilitazione fisica e psicologica. Così nei confronti dell’endometriosi stanno crescendo l’attenzione e servizi specifici, mentre sul fronte della ricerca farmacologica la Regione ha sostenuto una sperimentazione in corso presso l’Azienda ospedaliera di Ferrara, che sarà estesa a tutte le aziende non appena gli studi produrranno risultati consolidati.

Un bel segnale, dal punto di vista politico nazionale, è l’approvazione a marzo 2012 di una Mozione parlamentare bipartisan che impegnerebbe il Governo italiano a introdurre a pieno titolo la medicina di genere nel sistema sanitario. Il condizionale è d’obbligo perché nessuna riforma culturale, organizzativa, scientifica è a costo zero e gli ultimi provvedimenti governativi tolgono risorse ingenti a tutto il comparto sanitario.

Detto questo, è fondamentale che cresca nel Paese, nell’opinione pubblica come nel corpo medico e scientifico, la volontà di andare nella direzione giusta, che è quella dell’appropriatezza delle cure garantita dall’assunzione del principio della diversità di genere. Le Regioni, che hanno la gestione della Sanità, sono le prime istituzioni a dover farsene carico ed è il motivo per cui la Commissione per la parità che presiedo ha presentato un atto di indirizzo in materia, molto cogente per la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna. La Risoluzione infatti impegna la Regione a inserire tra gli obiettivi di sistema del Piano socio-sanitario la promozione ed il sostegno alla medicina di genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche, al fine di adottare criteri di erogazione del servizio sanitario che tengano conto delle differenze di genere e siano oggetto di rendicontazione annuale.

Inoltre, chiede di individuare e promuovere percorsi, all’interno delle strutture sanitarie pubbliche, per la presa in carico del paziente sulla base delle diversità di genere, al fine di ottenere una risposta più specifica ed idonea alle numerose richieste di assistenza delle donne; incentivare gli interventi di prevenzione e diagnosi precoce attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening, anche tra le donne immigrate; rafforzare gli interventi rivolti all’area materno-infantile ed assumere tutte le iniziative utili per sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica rivolta alla medicina di genere; incentivare la riorganizzazione del lavoro nelle strutture sanitarie in considerazione della sempre maggiore incidenza del personale femminile. Infine, vanno predisposte iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative. Tutto questo perché la medicina di genere è una realtà dalla quale non si può prescindere, se vogliamo - come vogliamo - misure a tutela della salute metodologicamente corrette ed efficaci, oltre che non discriminanti.



Roberta Mori, consigliera PD e presidente Commissione regionale per la Parità

(redazionale)

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